Gli attuali avvenimenti spingono a una riflessione di fondo per chiarire in parte quanto le alluvioni siano inevitabili e come sia possibile difendersi, premettendo che con lo sfruttamento del territorio che c’è in Italia, anche la più costosa difesa, nella maggior parte dei casi, potrà semplicemente limitarsi a contenere i danni. Ma è praticamente impossibile uscire indenni da eventi particolarmente violenti. Geografia e geologia associano al termine "pianura" l’aggettivo "alluvionale". Un aggettivo spesso omesso ma insito nel concetto stesso di pianura.
Definiamo una pianura alluvionale di qualsiasi dimensione, dalla Valpadana alla Valdelsa, come una zona più bassa e pressochè pianeggiante in mezzo a delle alture, ricoperta e riempita dai sedimenti trascinati e depositati dai fiumi durante le alluvioni. In altre parole: quando camminiamo in una pianura, siamo in una zona sulla quale un pò di tempo fa un fiume, esondando dal suo alveo, vi ha depositato i sedimenti che trasportava.
Noi siamo abituati a vedere i fiumi nascere, ricevere gli affluenti e sboccare in mare.
Questa configurazione è quasi totalmente artificiale: in natura un fiume, dopo una ripida discesa dal monte, arrivando nella pianura si impaluda, si divide in più rami, ed è libero di divagare pigramente a suo piacimento in lungo ed in largo per tutta la valle, dove zone asciutte si alternano ad acquitrini e laghi (tra gli ultimi esempi di laghi di questo tipo c'è il Trasimeno). Anche quando i fiumi godevano di queste libertà, sconosciute nell’Italia di oggi, le alluvioni catastrofiche erano all’ordine del giorno: in una sezione verticale di un terreno di pianura si vedono dei livelli di materiale anche molto grossolano (ciottoli se non massi) intercalati nelle argille e nelle sabbie.
Queste sono le tracce di importanti eventi alluvionali che hanno interessato la zona (in generale più grandi sono gli elementi che compongono il sedimento, maggiore è stata in quel punto l’energia della corrente).
Anche le coste “basse”, quelle lungo le pianure non sono naturali. Consideriamo la laguna veneta una eccezione, ma in realtà è proprio la morfologia ci si dovrebbe aspettare lungo una pianura, dove una linea di costa precisa non esiste e tutta la pianura è una successione di stagni, dune, cordoni litorali, insomma una laguna.
E se la pianura è vasta, come quella padana o semplicemente la bassa valle dell’Arno, il limite fra le acque dolci e quelle salmastre sarebbe molto più sfumato di quello che vediamo oggi. Poi è arrivato l’uomo, che ha “combinato” diversi guai.
In primo luogo ha imbrigliato i fiumi in alvei sempre più stretti, impedendogli di muoversi a piacimento e diminuendone la portata utile in caso di piena. Ma, fatto questo ancora più grave, li ha rettificati, riducendone la lunghezza anche a un terzo di quella originaria; si sono ottenuti così degli effetti negativi molto pericolosi: l’aumento della velocità dell’acqua per l’aumento della pendenza e la mancanza di curve (che notoriamente la rallentano) e la diminuzione totale del volume di acqua contenibile dall'alveo.
Velocità maggiore e percorso più rettilineo diminuiscono la distanza temporale fra gli affluenti e quindi aumenta la probabilità che le varie piene degli affluenti si riversino quasi contemporaneamente nel corso principale, con esiti disastrosi.
Piene che, a causa del disboscamento delle pendici dei monti, si formano più facilmente e arrivano prima: il suolo del bosco e le radici degli alberi sono ottimi mezzi per rallentare l’immissione dell’acqua piovana nei fiumi ed inoltre le impediscono di trascinare tanto sedimento.
Le bonifiche hanno fatto guadagnare spazio alle attività umane (soprattutto all'agricoltura) e hanno spesso consentito l'eliminazione di malattie come la malaria, ma nel contempo hanno tolto alle acque la possiilità di fermarsi da qualche parte e quindi, oltre alle restrizioni viste prima, i fiumi si ritrovano a dover "gestire" anche quella percentuale di acqua che si sarebbe, almeno nella fase acuta, fermata nelle paludi.
La costruzione delle "casse di espansione" e cioè zone che possono essere allagate in caso di piena è finalizzata proprio a "catturare" una parte dell'acqua in eccesso, rilasciandola a piena finita. Vedremo come allo stesso scopo si possono utilizzare le dighe. La cemenficazione toglie alla zona interessata la possibilità di assorbire la pioggia, facoltà che è prerogativa esclusiva di zone con suolo o con roccia fratturata. In una città, ad esempio, soltanto i giardini hanno questa possibilità.
Pertanto o il sistema fognario è efficente oppure l'acqua resta ferma, a meno che non scorra per gravità (quanti sottopassi si allagano anche in caso di piogge non proprio intense?).
Le dighe sono spesso chiamate a sproposito come concause di alluvioni da stampa e voci popolari. Soprattutto, nessuno è attualmente così pazzo da rischiare in fase di piena di aprire una diga, anche solo per le conseguenze penali che ci sarebbero. In realtà le dighe qualche disturbo ai fiumi lo provocano, ma in situazioni normali: siccome intrappolano la maggior parte del sedimento che il fiume trascina, a valle il corso d'acqua potrà avere a valle della diga delle caratteristiche più erosive e questo lo scontano sopratuttto i ponti, che si ritovano così le basi dei piloni troppo in superifice rispetto a quando sono stati costruiti (in alcuni casi il fenomeno è molto veloce, bastano poche decine di anni perchè succeda).
Ma, tutto sommato, in caso di alluvione la presenza di dighe è un fattore positivo: una diga trattiene a monte (tranne nel caso in cui il lago sia completamente riempito e quindi la correte la scavalca) tutti quei materiali (soprattutto tronchi di albero), che spesso bloccano la corrente sotto i ponti causando tracimazioni improvvise. E visto che le forti pecipitazioni sono previste con diversi giorni d’anticipo, basta scaricare parzialmente il lago per potervi quindi contenere una parte della piena prevista.
Non ci si può allora stupire che, come sono messi, a fiumi e torrenti siano sufficenti pochi giorni (se non ore) di pioggia per esondare: quando piove una certa quantità di acqua (e non si può evitare che succeda ....) è perfettamente logico che in qualche modo una certa percentuale di essa dovrà pure defluire.
Allora i fiumi escono dal loro alveo, o meglio da quel poco che gli abbiamo lasciato, sommergendo quanto incautamente gli abbiamo costruito intorno. A memoria di chi non ricorda va notato che in tutto il bacino dell’Arno l’unica opera che si è rivelata veramente utile nel corso delle più recenti piene è stata lo Scolmatore di Pontedera, che ha drasticamente diminuito la quantità di acqua dell’Arno nel pisano, salvando qualche anno fa Pisa ed i dintorni da un bagno non certo richiesto.
Si, è vero: qualcosa si può fare.
Per esempio tenere i fossi più puliti, evitare che i tombini siano ostruiti dalle foglie (il che accade soprattutto in autunno, guarda caso la stagione più piovosa....) e fare tante altre cose, ma - parliamoci chiaro - le alluvioni in quanto tali non si potranno mai evitare. Se ne possono evitare alcune conseguenze trattando meglio i fiumi e costruendo in zone più sicure (o meno insicure..). Ma l'attuale domanda umana di uso del territorio potrebbe consentire di vivere solo in zone a basso richio idrogeologico?
di Aldo Pimobino