Firenze- Rispetto alla media del decennio 1997-2006, i volumi registrati delle piogge in Toscana sono calati del 25,2%; mancano all'appello 5 miliardi 576 milioni di metri cubi d'acqua (la media annuale era di 22 miliardi 124 milioni). Le situazioni più gravi nelle province di Grosseto (-33,8%), Arezzo (-31,3%) e Siena (-26,4%), ma sono tutti i territori indistintamente a presentare valori negativi. Questi i dati presentati oggi in commissione Territorio e ambiente dall'assessore regionale alla difesa del suolo e al servizio idrico, Marco Betti.
Numeri ancora più significativi quelli sulle portate medie dei fiumi: l'Ombrone nel 2007 rispetto al 2004-2006 ha fatto registrare un calo dell'83% (dati rilevati a Sasso d'Ombrone), l'Arno è a -56% (a Nave a Rosano rispetto al 2001-2006), il Serchio a -18% (a Monte San Quirico, sulla media 2004-2006). "Dati che colpiscono e ci dicono che quella dell'acqua è una delle vere emergenze per la nostra regione, tanto più che le proiezioni sugli anni futuri non ci fanno stare per niente tranquilli - commenta il presidente della commissione, Erasmo D'Angelis (Pd) - Non si può più rimandare, serve una legge regionale che intervenga in modo deciso.
Di acqua ce n'è sempre meno: dobbiamo catturarne il più possibile ed evitare di disperderla. Tradotto in una legge, questo significa una nuova politica per gli invasi, per la manutenzione della rete idrica e per il recupero dell'acqua piovana". E sulla necessità di una politica regionale complessiva concorda anche il vicepresidente, Andrea Agresti (An), che però punta il dito sulla situazione più grave: quella della Toscana del Sud, della Maremma in particolare. "E' evidente che se un fiume come l'Ombrone perde l''83% della sua portata i problemi ci sono, e non ci dobbiamo stupire se poi qualcuno chiede lo stato di emergenza - afferma - La Maremma è un territorio vitale per l'agricoltura e l'allevamento toscani, serve un progetto mirato per le province di Grosseto e Siena".
Da parte di Luca Paolo Titoni (Udc) la sollecitazione alla Giunta regionale perché si prendano in esame dati di più lungo periodo, per valutare se effettivamente è la prima volta che si registrano numeri così negativi o se c'è una ciclicità storica, mentre per Ardelio Pellegrinotti (Pd) servono risposte intelligenti sul servizio idrico nel suo complesso, che riguardino anche gli sprechi del sistema industriale. L'assessore Betti, chiudendo il dibattito, ha annunciato l'avvio del "Patto per l'acqua", una serie di iniziative e progetti per la razionalizzazione dell'uso della risorsa idrica: "Serve un patto perché serve la condivisione consapevole di un percorso per risolvere i problemi", ha detto.
“Servono nuovi piccoli e medi invasi, dissalatori, condotte che portano acqua da un ambito all’altro e investimenti strategici per ridurre le perdite e per le nuove infrastrutture. I gestori stanno facendo la loro parte ma è necessario che la Regione Toscana metta in atto un piano straordinario per risolvere il problema delle ricorrenti emergenze idriche nella nostra regione” questo il commento di Alfredo De Girolamo, presidente Cispel Confservizi Toscana, l’associazione regionale delle aziende di servizio pubblico e del coordinatore della Commissione Acqua di Cispel, Fausto Valtriani alla comunicazione dell’assessore Betti tenutasi stamani nella riunione della Commissione Ambiente del Consiglio regionale.
“Il fatto che si parli di emergenza idrica anche d’inverno – ha aggiunto De Girolamo - testimonia che il cambiamento climatico sta producendo gravi danni anche in Toscana: solo nel periodo autunnale del 2007 sono mancati oltre 5 miliardi di metri cubi d’acqua rispetto alla media, con una riduzione della piovosità di oltre il 48% e delle portate dei fiumi, che nel caso dell’Ombrone è arrivata all’80% in meno. I gestori del servizio idrico integrato, con grande senso di responsabilità, hanno assicurato, nei casi più drammatici, l’acqua nelle case dei toscani con le autobotti, spendendo per questo servizio extra, nel solo 2007, oltre due milioni di euro.
Il problema delle risorse è molto importante perché i piani di ambito non sono sufficienti per le nuove infrastrutture da realizzare, né per risolvere il problema delle emergenze di approvvigionamento, né quello delle perdite delle reti, quindi le strade sono due: la fiscalità generale in un programma di medio termine o l’aumento delle tariffe. Le piogge del mese di gennaio aiutano ma non sono affatto sufficienti. Serve una strategia regionale per affrontare questa drammatica situazione e per garantire la costruzione di nuovi invasi che mettano in sicurezza le città, l’acquisto e la messa in funzione di dissalatori che riforniscano le zone costiere, dove l’afflusso turistico estivo fa innalzare il picco di consumi nelle località balneari.
Una regia regionale in materia di risorsa idrica è poi necessaria, oggi più di prima, anche per coordinare i vari territori e per costruire sistemi acquedottistici di collegamento tra ambiti.” “Stiamo predisponendo un Libro Bianco sull’acqua – hanno annunciato i rappresentanti di Cispel Toscana – che sarà pronto a fine febbraio, dove affronteremo il problema anche delle perdite della rete, che non sono solo un problema fisico ma anche amministrativo. Una quota di acqua non trascurabile non viene fatturata perché usata da consumatori collettivi, come ad esempio pubbliche amministrazioni, fiere e mercati pubblici, oppure usata dagli stessi impianti dei gestori.
Le perdite effettive stimate sono passate però dal 41% del 1999 al 27% del 2003. La perdita di rete è senz’altro un problema reale ma in una certa misura anche fisiologico: le condotte idriche hanno una vita media di 30 anni e gli investimenti d’ambito attualmente disponibili non sono sufficienti a contrastare questo degrado. Per ridurre le perdite sarebbe necessario un incremento degli investimenti dedicati alla sostituzione dei tubi stimato in 347,3 milioni di € per anno. Di queste risorse non si può fare a meno e quindi deve essere deciso come finanziarle, in mancanza di risorse pubbliche aggiuntive e non volendo aumentare le tariffe, il problema è ben lungi dall’essere risolto.”
L’Unione Europea ha presentato oggi il pacchetto energia-clima, vale a dire le proposte di provvedimenti per ridurre entro il 2020 le emissioni di gas serra in Europa del 20% rispetto ai livelli del 1990.
Il WWF si aspettava una maggiore determinazione ed un obiettivo di almeno il 30% di riduzione delle emissioni: questo perché nella decisione del Consiglio Europeo del Marzo 2007 si è stabilito che la UE perseguirà tale target – che include l’opzione di raggiungere il 30% in coincidenza di un accordo globale sulle emissioni di gas serra. Un target più alto di riduzione è anche necessario per rimanere al di sotto dell’aumento medio della temperatura globale di 2 gradi centigradi. Quale leader globale nella lotta ai cambiamenti del clima, l’Unione Europea dovrebbe pianificare il successo dei negoziati internazionali, non il loro fallimento.
Il target del 20 per cento assume non solo che gli altri paesi industrializzati facciano poco o nulla, ma non è neppure in linea con l’accordo raggiunto a Bali, dove in plenaria è stato votato un documento che dice che i paesi sviluppati dovranno tagliare le proprie emissioni tra il 25 e il 40 per cento entro il 2020. Il WWF ritiene quindi che si rendono necessari drastici miglioramenti delle misure proposte da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio. “La Commissione Europea ha presentato una proposta relativamente debole, e non un singolo paese europeo ha appoggiato target più ambiziosi – ha detto Michele Candotti, direttore generale del WWF Italia - “Un taglio delle emissioni del 20 per cento entro il 2020, rispetto a quelle del 1990, è in realtà una cura più ‘leggera’ di quello che sembra: questo perché l’Unione Europea ha già ridotto le sue emissioni di circa il 10% rispetto ai livelli del 1990.
E’ difficile in questo modo per l’Europa arrivare a quella necessaria svolta verso la Nuova Rivoluzione industriale di cui parla e di cui ha drammaticamente bisogno. Ed è un piccolo sforzo anche rispetto ai rischi drammatici per il nostro Pianeta dovuti ai cambiamenti climatici, come lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico e la migrazione di milioni di persone nei paesi in via di sviluppo a causa delle alluvioni e della siccità”. Secondo l’analisi del WWF la proposta destina ancora troppi permessi a titolo gratuito per inquinare alle industrie ad alta intensità di carbonio, indebolendo così il principio di “chi inquina, paga”.
Il WWF ritiene che tutti i permessi debbano essere messi all’asta, in modo da incentivare il taglio delle emissioni e garantire i fondi necessari per la riconversione e lo sviluppo dell’energia pulita e rinnovabile, così come per l’adattamento a quei cambiamenti del clima ormai inevitabili e in atto, specie nei paesi poveri.