La celiachia non va vissuta come malattia sociale

L'assessore regionale alla salute Scaramuccia al convegno "Il celiaco e l'alimentazione fuori casa". L'obiettivo della Toscana: menu adeguati in tutte le mense pubbliche.

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
01 luglio 2010 15:49
La celiachia non va vissuta come malattia sociale

Celiachia: se una dieta senza glutine è facilmente attuabile a casa propria, questo diventa molto più difficile quando si pranza spesso fuori. E il rischio che la persona celiaca si senta in qualche modo emarginata a causa del cibo è amplificato dal fatto che le occasioni e le necessità di consumare i pasti fuori casa si sono moltiplicate. Se ne è parlato oggi al convegno "Guadagnare salute in Toscana. Il celiaco e l'alimentazione fuori casa", organizzato al Palaffari dalla Regione, in collaborazione con la Asl 10 di Firenze e con l'Aic (Associazione italiana celiachia).

"Tutte le persone che sono qua oggi, e anche la Regione Toscana che io rappresento - ha detto l'assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia nel saluto inziale che ha rivolto ai partecipanti al convegno - stanno lavorando per raggiungere un obiettivo comune: far sì che la celiachia non sia più vissuta come una malattia sociale. Guadagnare salute significa promuovere e facilitare l'assunzione di stili di vita e abitudini salutari, ma anche rimuovere il più possibile gli ostacoli e le difficoltà che rendono più difficile ad alcune persone piuttosto che ad altre raggiungere il livello di benessere e serenità sociale cui tutti dovrebbero avere diritto.

La celiachia può avere pesanti risvolti sociali, se non si attua un modello di presa in carico che tenga conto di tutti gli aspetti di questa patologia". La collaborazione tra Regione Toscana e Aic risale al 2000. Da allora, la Regione ha messo in atto una serie di iniziative volte a facilitare la vita dei celiaci in qualsiasi ambito: familiare, lavorativo, scolastico, ricreativo. Con successive delibere (2000, 2005 e 2008) sono state fissate le regole per l'erogazione gratuita di alimenti senza glutine da parte delle farmacie delle Asl o delle farmacie convenzionate, sono state istituite linee guida per la vigilanza sulle imprese alimentari, predisposti corsi per i cuochi, pubblicati opuscoli per gli operatori.

Ora, l'obiettivo è garantire il diritto a un pasto senza glutine in tutte le mense: in Toscana sono 2.400 (1.446 scolastiche, 141 ospedaliere, 808 pubbliche). Negli ultimi anni, la popolazione di celiaci in Toscana è andata sempre aumentando: 6.134 nel 2006, 7.043 nel 2007, 7.881 nel 2008, 8.833 nel 2009 (di cui 2.506 uomini e 6.327 donne). Dal dicembre 2008 al dicembre 2009 sono stati diagnosticati 952 nuovi casi di celiachia. Questo non significa che aumentano i casi di celiachia: piuttosto, vengono diagnosticati in modo certo casi che prima restavano sommersi.

Negli anni '80, l'incidenza della celiachia era di un soggetto ogni 2-3.000 persone. Negli anni '90 il rapporto è salito a 1 ogni 1.000. Oggi l'incidenza della celiachia è stimata in un soggetto ogni 100 persone. In Italia quindi i celiaci sarebbero potenzialmente 380.000, ma ne sono stati diagnosticati solo 35.000. Sempre secondo questa stima, in Toscana i celiaci dovrebbero essere 35.000. Gli iscritti alla sezione toscana dell'AIC (Associazione Italiana Celiachia) sono 6.550. Cos'è la celiachia La celiachia è un'intolleranza alimentare permanente al glutine, una proteina contenuta in alimenti come frumento, segale, avena, orzo.

Nelle persone affette da celiachia, questi alimenti provocano un'azione autoimmunitaria che danneggia gravemente la mucosa dell'intestino tenue, che normalmente permette l'assorbimento delle sostanze nutritive. L'unico trattamento oggi disponibile per la celiachia è l'eliminazione dalla dieta di tutti gli elementi contenenti glutine. Non è così semplice, perché il glutine può essere presente, anche in quantità minime, in diverse preparazioni alimentari. L'industria specialistica ha ampliato la gamma e la qualità dei prodotti senza glutine.

La necessità di assumere alimenti specifici e l'impossibilità a frequentare ristoranti, pizzerie, eccetera e condividere i cibi dei non-celiaci comporta di fatto una marginalizzazione dei celiaci e una loro esclusione dalla vita sociale. di Lucia Zambelli

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