Marina di Carrara, 15 novembre– In Toscana il 18% dei nati ha una madre immigrata, che è arrivata in Italia da paesi ad alta pressione migratoria. Il dato emerge da una ricerca condotta dall’Agenzia regionale di sanità, presentata oggi nel corso della seconda giornata di “Dire&Fare”, la rassegna sull'innovazione nella pubblica amministrazione promossa da Anci Toscana e Regione Toscana. La ricerca ha indagato sulle differenze e gli squilibri tra i cittadini residenti in Toscana nel godere del diritto alla salute e nell'accedere ai servizi.
L'indagine, che ha preso come base di riferimento gli archivi delle Asl in modo da avere a disposizione un quadro generale della popolazione, ha evidenziato la realtà di un sistema sanitario molto buono, che riesce a raggiungere tutti, e che anche quando è meno buono è comunque superiore alla media italiana. L'obiettivo era evidenziare la presenza di differenze o discriminazioni in base al genere, l'età, gli aspetti socioculturali, l'etnia di appartenenza. “Le discriminazioni in base al genere non sono rilevanti – ha sottolineato Eva Buiatti, direttore di Ars Toscana – ci sono invece differenze piuttosto significative tra un territorio e un altro della regione.
Per quanto riguarda l'immigrazione abbiamo concentrato l'attenzione sulle donne, e in particolare sulla gravidanza e sul parto. E' emerso che non manca l' 'aggancio' delle donne straniere ai servizi, ma vi si rivolgono tardi, senza sapere che in gravidanza è importante usufruire dei controlli nei primi mesi. Occorre informare in questo senso, diffondendo anche una migliore conoscenza sui metodi anticoncezionali: tra le donne immigrate è più forte la propensione all'aborto volontario, probabilmente informando meglio sulle possibilità di non avere gravidanze indesiderate questa tendenza si ridurrebbe.
E' emerso anche i bambini immigrati sono un po' più sottopeso rispetto a quelli che nascono da madri toscane”. L'indagine ha evidenziato anche differenze nel comportamento dei servizi sanitari in relazione all'età, facendo emergere la tendenza a mettere meno a disposizione delle persone anziane metodologie che invece vengono utilizzate con i più giovani. “Anche dal punto di vista socioculturale sono emerse differenze – ha aggiunto Buiatti – in particolare i ragazzi con un capitale socioculturale più basso tendono più degli altri ad assumere stili di vita più rischiosi, si nota cioè una maggiore diffusione del bullismo, del consumo di droghe, un rischio maggiore di subire infortuni”.
(sm)