Una bella sera, quella di ieri in Piazza Santa Croce a Firenze. Una bella serata tutti incantati ad ascoltare un personaggio che ha avuto il grande merito di non limitare se stesso alla comicità spicciola e popolare. Ha voluto fare di più, ha voluto dare al personaggio "Roberto Benigni", quello spessore che lo ha reso unico anche come regista. Un giorno si è svegliato ed ha pensato: "ma io posso diventare il più grande divulgatore di poesia che c'è in Italia". E quale miglior poema per esserlo che la Commedia scritta da un fiorentino. Beh, dobbiamo ammetterlo, la macchina organizzativa è ben accordata, casa di produzione, organizzatori e scenografia, particolarmente esaltata dalle luci sulla bellissima facciata della Basilica di Santa Croce, funzionano perfettamente.
Un pubblico attento, indirizzato verso la prosa con un preliminare scherzoso e popolare, che lo mette a proprio agio e lo fa sprofondare sulla sedia in una "trans" preparatoria all'atto finale, al vero "clou" dello spettacolo, a quello che è registrato da telecamere volanti e da tradizionali scene televisive. Siamo all'interno dell'Inferno dantesco, quello che ognuno di noi ha guardato da lontano durante le lezioni scolastiche, quello che tutti amiamo per definizione per amor di patria, ma non per amor di lettere.
Chi più chi meno, la Divina Commedia è stato il poema per il quale era necessaria una traduzione dal punto di vista linguistico e interpretativo, quella traduzione che i nostri insegnanti amavano rendere pesante e noiosa. Non generalizzerò più di un po', proprio perché così come Benigni, "cittadino onorario di Firenze" rende la sua conoscenza con ardore e passione viscerale, anche alcuni insegnanti del liceo lavorano con passione e sentimento. Certo che Benigni, quel "Robertaccio" di passate memorie comuniste, ha un suo modo di interpretare il poema.
Lo fa in maniera comprensibile, coinvolgendo il pubblico cercando di inserirlo nella scenografia descritta da Dante e Virgilio, proprio in quei "Canti" che sono poesia descrittiva, che sono una scenografia già scritta, ma che, come dice Benigni, "di un film impossibile da fare". Su questo nutro dei dubbi. Proprio ieri sera, nella descrizione scenografica del Canto XIV, dove sono puniti coloro che hanno offeso Dio nei vari modi, bestemmiandolo, due sono stati i punti che mi hanno fatto riflettere: il primo nella descrizione della landa desolata e circondata da alberi con pioggia di falde di fuoco, la seconda, questa molto più esplicita, quando immagina un volo di elicottero che stringe l'immagine sulla montagna nell'Isola di Creta di nome Ida, la montagna che servì a Rea, madre di Giove, per nasconderlo dal padre Saturno.
Fa gesti da regista, vola con la mente cercando di immaginarsi quel film che a mio parere ha già immaginato di poter girare. L'impresa sarebbe assolutamente ardua, anche se la conoscenza della Divina Commedia da parte di Benigni nessuno ormai più la mette in dubbio. Pensate che oltre alla passerella di personaggi VIP nelle prime file della platea, numerosi personaggi della cultura e della ricerca scientifica e letteraria si avvicendano su quelle seggiole. Certo, verranno anche a vedere il Benigni comico e divertente delle battute sulla politica, ma in particolar modo credo siano attratti dal metodo divulgativo del poema.
Possiamo immaginare la critica silenziosa su una od un'altra interpretazione di una terzina o di un personaggio, possiamo anche immaginare un professore che per anni ha cercato di raccontare ai propri allievi la Divina Commedia, che la conosce perfettamente, che la interpreta necessariamente a suo modo, ritrovarsi ad essere coinvolto dal "ciclone" comico, e spesso anche irriverente del "Genio fiorentino" di Benigni. Signori, qui siamo di fronte, se qualcuno non se ne fosse accorto nel 2006, quando per la prima volta iniziò l'avventura di Benigni con Dante, a un’eccezionale opera di divulgazione di poesia.
Mai in nessun altra occasione la poesia e la prosa ha attratto tanta gente; la formula di "Tutto Dante" funziona davvero e aver sfiorato nel 2007 il Nobel per la letteratura non è stato davvero un caso per il Roberto Benigni che adesso conosciamo. Questo mio scritto non vuole quindi dare risalto alla satira politica che rende sempre così evidente il personaggio, vorrei che passasse l'idea che Roberto Benigni è un nostro maestro. Sapete qual è il commento più gettonato alla fine dello spettacolo? "Certo che se a scuola me l'avessero spiegata così, forse mi sarebbe anche piaciuta".
Ecco il vero merito di Roberto. Lui rende a tutti un pezzo fondamentale della nostra storia e della nostra letteratura. Un metodo divulgativo che è moderno nella tecnologia ma classico nel rapporto con il pubblico. Un metodo nuovo, per parlare di cultura alle masse. Un sistema per rendere partecipi della bellezza della nostra arte, del nostro passato, della più alta poesia tutti e ognuno; altrimenti lasciata ai ricordi di una formazione basilare e spesso dimenticata. Grazie a Roberto Benigni per il suo impegno, per la sua passione che ci trasmette con tanto orgoglio e con tanto amore. di Filippo Giovannelli