Firenze - Il prosciutto di cinta senese a Piazza Affari. Detto così potrebbe anche sembrare uno scherzo, un titolo ironico dopo una giornata borsistica difficile, ma il famoso e amatissimo prosciutto di cinta senese, tra i prodotti di punta della suinicoltura toscana (e italiana), ha scalato vertiginosamente le quotazioni sensoriali degli operatori di borsa (e dei tanti passanti) che questa mattina si sono recati a lavoro. In Piazza Affari, a Milano, per l’appunto. L’occasione la protesta, e la denuncia, di oltre mille allevatori della Coldiretti arrivati dalla Lombardia, Veneto, Emilia e naturalmente dalla Toscana dove sono attive oltre 400 aziende che allevano quasi 160 mila capi, e prodotti di alta salumeria come la cinta senese, che subiscono senza poter fare nulla le speculazioni internazionali sulle materie prime, dall’oro al petrolio fino ai mangimi, che hanno fatto impennare i costi per l'alimentazione degli animali e messo in ginocchio migliaia di allevamenti e la vera salumeria Made in Italy.
Le speculazioni su materie prime ed energia, infatti, sono costate in un anno almeno 300 milioni agli allevatori di maiali italiani con migliaia di aziende che hanno chiuso o stanno per farlo. Accompagnati da slogan e cartelli accompagnati dalle bandiere gialle di Coldiretti come “La speculazione è servita a tavola”, “Voi controllate le borse noi il cibo”, “Meno finanza e piu’ stalle”, “Globalizzazione senza regole tratta il cibo come i frigoriferi”, “Giù le mani dal Made in Italy”, “Più trasparenza in borsa e al mercato”, gli allevatori toscani si sono uniti al coro dei colleghi di tutta Italia.
Secondo un’indagine di Coldiretti “dal maiale alla braciola i prezzi aumentano di almeno 5 volte per effetto delle distorsioni che si verificano nel passaggio dalla stalla alla tavola con gli allevatori che sono costretti a chiudere le stalle e i consumatori a rinunciare alla carne” mentre i costi dei mangimi intanto sono aumentati del 17%. Una progressiva impennata che ha scavato un solco enorme nella filiera: per ogni euro speso per l’acquisto di carne di maiale appena 15,5 centesimi arrivano all’allevatore, 10,5 al macellatore, 25,5 al trasformatore e ben 48,5 alla distribuzione commerciale.
Una analisi che dimostra come nella forbice tra prezzi alla produzione e al consumo c’è - secondo Coldiretti - un sufficiente margine per garantire una adeguata remunerazione agli allevatori e non aggravare i bilanci delle famiglie”.