Quarto secolo dopo Cristo, l'Egitto è sotto l’Impero Romano. I violenti scontri religiosi nelle strade di Alessandria arrivano fino alla celebre Biblioteca della città, che viene distrutta in una furia iconoclastica. Intrappolata nelle sue mura, la brillante astronoma Ipazia (Rachel Weisz), combatte per salvare le conoscenze accumulate nel corso dei secoli e conservare la saggezza del Mondo Antico. Dopo aver affrontato altri generi come l’horror in “Tesis” e in “Apri gli occhi”, il thriller soprannaturale in “The Others”, il melodramma sulla malattia in “Mare dentro” (Oscar come miglior film straniero nel 2004), lo spagnolo Alejandro Amenabar, 37 anni, si cimenta in quest’ultimo film col kolossal storico.
Scritto dal regista assieme all’abituale co-sceneggiatore Mateo Gil, “Agorà” è infatti incentrato su una figura storica affascinante e misconosciuta, quella della filosofa e astronoma Ipazia di Alessandria che per prima intuì che i pianeti compiono un’ellissi intorno al sole. Figlia di Teone, custode e responsabile della mitica Biblioteca andata perduta, fu una figura tragica e coraggiosa, unica donna che ebbe l’onore di dirigere la scuola di Alessandria e che pagò con la vita le sue lotte e le sue ricerche.
Anticipando i tempi dell'Inquisizione, venne definita strega e fatta letteralmente a pezzi perché faceva paura, perché in nome della ragione e della filosofia, non credeva in nessun dio, tanto meno quello cristiano. “Voi non potete avere dubbi. Io, devo” dice in una battuta del film: vivendo di dubbi e non di una fede che appiattisce tutto (terra compresa!) mette in risalto quanto l’oscurantismo delle religioni abbia sempre ritardato l’evoluzione umana. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, arriva in Italia a distanza di quasi un anno e non meraviglia scoprire che su di esso pende il rischio di scomunica, proprio come era accaduto in passato con “Je vous salue Marie” di Jean-Luc Godard e “L’ultima tentazione di Cristo” di Martin Scorsese.
Lodato dall’intellighenzia anticlericale e liquidato con accese contestazioni da quella di fazione opposta, ha creato una bagarre mediatica (dalle facili trappole retoriche) sulle tensioni tra scienza e religione, a scapito del suo valore strettamente filmico, onestamente poco convincente. Inscatolato in una confezione imponente da 50 milioni di dollari (di gran lunga superiore alla media dei film europei), ricorre a soluzioni visive che si preoccupano più di sembrare “belle” che di aggiungere portata semantica ad una sceneggiatura didascalica fino ai limiti del manicheo.
Cosicché, nonostante la bella prova della Weisz, immersa nell’ossessiva ricerca dell’armonia dei moti celesti e degli emicicli tolemaici, e la puntuale ricostruzione delle tensioni del periodo (siamo al passaggio cruciale della storia, dall'antichità al medioevo) lacerato da correnti di pensiero e sommosse sociali, “Agorà” appare infine riuscito solo nel suo intento divulgativo. Decisamente un’occasione mancata se pensiamo alle potenti implicazioni di una materia simile. La contraddittoria connivenza nella civiltà alessandrina tra libera e democratica indagine intellettuale e schiavitù; la violenta distruzione dell’utopia alessandrina avanzata dai protocristiani in nome del monoteismo; i motivi d’attrazione esercitati dai parabolani dalle neri vesti che seguendo una nota strategia di proselitismo, dopo aver elargito il pane ai poveri e la libertà agli schiavi, allagano la città nel sangue… sono tutte problematiche evocate da Amenabar sulle quali porre certamente attenzione, ma che fanno rimpiangere lo sguardo acuto, profondo e politico del meraviglioso “Il destino”, in cui Youssef Chahine affrontava proprio alcune di queste tematiche attraverso la figura di Averroè.
Suggestivo è però lo sguardo siderale del film: il regista predilige le inquadrature dall’alto, facendo apparire l’umanità come polvere di stelle, come una miriade di puntini neri tremolanti e impazziti. Quando la violenza scomposta della folla, le urla, gli scoppi di rabbia si disperdono nello spazio infinito dell’universo, tutto perde di significato. Ma se si rimane incollati al suolo, quella follia, quella cecità dogmatica, possiede una tale forza da trasformare gli uomini in bestie.
"Agorà è la storia di una donna, di una città, di una civiltà e di un pianeta - afferma Amenábar -. L'Agora è il pianeta su cui dobbiamo tutti vivere insieme. Abbiamo cercato di mostrare la realtà umana nel contesto di tutte le specie terrestri, e la Terra all'interno di un contesto universale, guardando gli esseri umani come fossero formiche e la Terra come una pallina tra tante stelle. Abbiamo giocato cambiando la prospettiva". Per conoscere i cinema di Firenze dove Agorà è proiettato e, più in generale, la programmazione dei cinema a Firenze, clicca qui. di Laura Iannotta