Jason Reitman ci aveva viziato. Dopo l’esordio di Thank You for Smoking, di cui era anche sceneggiatore, e il delizioso Juno scritto con Diablo Cody, molti erano già pronti a gridare al nuovo genio della commedia americana. Figlio di Ivan, nato in terra di Cecoslovacchia e regista al pari del figlio di commedie famosissime fra i quali è impossibile non citare Ghostbusters, il buon Jason ha appena 32 anni ed è giunto già al suo terzo film.
Tra le Nuvole è una commedia, quindi, molto raffinata e cinica, che vede protagonista il sex simbol per eccellenza del nuovo millennio, il signor Cary Grant…ehm, George Clooney, che funziona alla grande riuscendo con la sua carica di umana simpatia a farci passare un protagonista fra i più negativi del cinema americano degli ultimi anni. Così come Aaron Eckhart nell’esordio di Reitman cercava di convincerci a fumare, qua Ryan Bingham vuole convincerci che essere licenziati è la nostra liberazione. Il signor Bingham lavora infatti per una agenzia che di fatto…licenzia i lavoratori di altre ditte che non hanno il coraggio di comunicare la cosa ai loro dipendenti.
Bingham è talmente convinto dell’utilità della sua missione da sentirsi quasi umano . Li licenzia, ma con comprensione. Passa 300 giorni all’anno, ha una famiglia composta da due sorelle che non lo sente parte integrante del nucleo, non ha praticamente vita privata e il suo unico scopo è quello di accumulare 10 milioni di miglia sulla sua carta di fedeltà. Ma la rivoluzione tecnologica è in agguato : la giovane Nathalie , aitante promessa, ha proposto all’azienda, per risparmiare, di licenziare via teleconferenza….il che significa per Bingham niente più adorati voli, niente hotel a cinque stelle sempre diversi, forse niente più incontri fortuiti con Alex (Vera Farmiga) una sorta di sua versione al femminile, che condivide i suoi ideali e non “gli chiede nulla”. E fin qui il film regge, complice anche la presenza di veri disoccupati a far la parte dei licenziati da Bingham, insieme a qualche cameo famoso come quello di J.K.Simmons, caratterista favoloso per i Cohen e per Reitman stesso (il papà di Juno).
Ma poi il tutto perde di cinismo, si scioglie in un sentimentalismo periglioso che il finale “restauratore” non sembra poter salvare. Il film diviene una riflessione sull’amore, sull’unità familiare, su tutto quello insomma che NON ERA la vita senza responsabilità di Bingham , tentato persino di darsi una stabilità con Alex dall’evolversi degli eventi. Si è parlato di sceneggiatura, e forse qui il buon Reitman ha pagato l’assenza della sua cara Diablo Cody – impegnata a scrivere quel polpettone di Jennifer’s Body che Jason ha pure prodotto – poiché non tutto fila liscio.
Ma meno male, dice chi scrive, che il novello Mozart della commedia americana abbia scoperto di poter sbagliare qualche film. Così come Bingham scopre di aver varcato la fatidica cifra milionaria (in miglia) proprio nel momento in cui perde tutto il suo significato “fetish” . Adesso che ha – in parte – toppato, Jason assomiglia ai suoi protagonisti, alle sue storie di redenzione. Adesso è tornato umano. E lo attendiamo con nuovi piccoli Juno nel prossimo futuro. Cameo di eccezione per Sam Elliott, il baffo più simpatico del cinema made in USA. Marco Cei