In alcuni quartieri di Prato (in particolar modo il quartiere di san Paolo lungo via Pistoiese), la concentrazione di cinesi è tra le più alte d'Europa. Lo sviluppo dell'immigrazione cinese a Prato, verificatosi a partire dal 1990, non è stato determinato solo dagli arrivi provenienti dalla Repubblica Popolare. Oggi a Prato un'impresa su otto è controllata dai cinesi. L'abbigliamento cinese a Prato è un settore ancora effervescente, che ha continuato ad aumentare l'occupazione anche nel 2009. Ma contro i cinesi, a Prato, oggi il razzismo si respira nell'aria.
Specie dopo le numerose operazioni dei carabinieri nei capannoni gestiti da cinesi. Difficile convincersi che qui la "questione cinese" sia irrisolta, o irrisolvibile. Certo all'inizio di febbraio con la nota ufficiale emessa dall'ambasciata cinese in Italia, a nome del governo di Pechino, il caso Prato ha fatto un salto di qualità. “Leggendo alcuni resoconti sull'insediamento di ieri a Prato, alla presenza del Ministro dell'Interno Maroni, del Tavolo Permanente sull'Immigrazione -ribatte Damiano Baroncelli, membro della Lega Nord di Prato- si avverte il tentativo mai sopito di alcune parti di rilanciare attaverso l'integrazione la soluzione della aliena e dilagante presenza della comunità cinese sul territorio.
Come se venti anni di insuccessi non avessero insegnato nulla! L'immigrazione cinese a Prato è esclusivamente un'immigrazione economica che non ha come obiettivo l'integrazione, come la intendiamo noi, all'interno della nostra comunità di accoglienza per godere dei benefici e degli stili di vita che gli immigrati trovano nella nostra città e nel nostro Paese. Ci si integra in una società quando si sceglie la società di destinazione, la si accetta, e ci si augura di farne parte in prima persona e con i propri figli, contribuendone al suo benessere.
Ciò accade in Italia per molte etnie, ma non certo per i cinesi. Non si può dolersi che la comunità cinese non abbia avuto finora la possibilità di entrare in comunicazione con la comunità pratese ed italiana a causa di nostri errori. Un immigrato cinese non si trasferisce in Italia perché ama l'Italia, ne apprezza la cultura, e desidera che i propri figli vivano secondo le nostre abitudini. Un immigrato cinese, in particolare originario della provincia dello Zhejiang, si sposta per realizzare un'opportunità di guadagno, per ottenere un successo economico, indipendentemente dal Paese nel quale questo progetto lo possa portare, o al massimo per sfuggire alla pianificazione familiare imposta in patria ed assicurarsi una numerosa discendenza.
Un immigrato cinese mantiene ben stretta la propria cittadinanza, perché sa bene che la Repubblica Popolare Cinese vieta per legge la doppia cittadinanza, e se vi rinunciasse verrebbe immediatamente considerato un traditore. La rete dei rapporti di solidarietà e cooperazione tra cinesi è talmente ben oliata da rimanere volutamente impenetrabile. Infatti, tale rete ha bisogno, per la sua sopravvivenza, di restare esterna alla società di accoglienza, perché altrimenti ne sarebbe soppressa dalle sue regole.
Tale rete crea luoghi di extra-territorialità nei Paesi stranieri e pone una seria minaccia allo stato di diritto dei Paesi occidentali, ed in particolare dell'Italia".