Non tutti erano convinti sostenitori del “sistema Forteto”, tra i tanti consensi e gli apprezzamenti per l’esperienza di quella comunità, c’erano voci fuori dal coro: cittadini, persone che, operando in prossimità del Forteto, avevano colto difficoltà e preoccupanti segni di disagio in alcuni minori in affido, dirigenti della Asl che non condividevano metodi e filosofia di quella comunità. Voci che sono rimaste a lungo inascoltate e osteggiate. Questo è quanto hanno raccontato tre testimoni diretti alla commissione regionale d’inchiesta sull’attività di affidamento dei minori a comunità e centri di accoglienza. La commissione presieduta da Stefano Mugnai (Pdl), vicepresidente Paolo Bambagioni (Pd), ha sentito ieri pomeriggio, giovedì 22 novembre, Augusta Gaiarin, ex insegnante di Dicomano, che aveva scritto una lettera al presidente della commissione, Massimo De Berardinis, dirigente responsabile della Unità funzionale salute mentale dell’Asl 10 di Firenze, e Marino Marunti, già responsabile della Unità funzionale di salute mentale infantile della stessa Asl. “Quando insegnavo – scrive nella lettera, e ha confermato in commissione, Augusta Gaiarin – mi ero accorta che ‘qualcosa’ tra i bambini e i loro genitori affidatari non funzionava”.
Silenzi, “disagio psichico che si rivelava con ribellioni, capricci, desiderio di attenzione (…) La cosa che più traspariva era la paura, non solo del rientro a casa, ma anche quella di essere spiati”. L’insegnante racconta di aver preso l’iniziativa, di aver fatto anche parte di un comitato di cittadini, circa quindici anni fa, a seguito dell’allontanamento di due sorelline dalla famiglia d’origine e il loro affidamento al Forteto, di aver scritto una lettera di protesta, “anche al sindaco di Dicomano”, con il coinvolgimento della stampa locale e di parlamentari.
“Un giorno mi arrivò la telefonata dal sindaco che mi avvisò della volontà di una persona di parlarmi: era il presidente del Forteto, Fiesoli, che cercò di convicermi a ritrattare le mie affermazioni. Gettavano discredito, diceva, su una comunità che salvava tanti bambini, ma io non mi spostai di una virgola. Avemmo uno duro confronto, lui mi disse che me ne sarei pentita. La reazione fu drastica: tutti i bambini del Forteto furono portati via dalla scuola di Dicomano a quella di Vicchio e nessuno della comunità veniva più in paese a fare acquisti.
Ogni rapporto con Dicomano fu chiuso”. E poi la delusione per il progressivo abbandono, “i giornali, i politici tutti si defilarono”. Ma a Dicomano, tiene a ribadire Augusta Gaiarin, “non c’era omertà, tanti cittadini parlavano con preoccupazione di quella comunità, tanti dicevano il loro disgusto, frasi come ‘quella è una setta’, ‘qualcuno dovrebbe fare qualcosa’, ‘poveri bambini’, poi ognuno tornava nelle proprie case”. Le perplessità di Massimo De Berardinis si manifestarono in un paio di incontri con la comunità del Forteto: “Ebbi l’impressione immediata, partecipando ad un convegno con Fiesoli e Goffredi nel ‘98, che le tesi sostenute dal Forteto riguardo all’affidamento dei minori erano contro legge e la visione che ne usciva era paranoide, una filosofia disturbata: la teoria in sintesi prevedeva che i bambini affidati non dovessero avere contatti con la famiglia d’origine e che non dovessero essere affidati a coppie, ma a gruppi”.
In seguito, una telefonata anonima “mi invitò a leggere la sentenza della Corte europea del 2001, nella quale avrei trovato informazioni interessanti su quello che accadeva al Forteto”. De Berardinis ne parlò ai suoi superiori, “il direttore del mio dipartimento cercò di tranquillizzarmi, mi disse anche che quella sentenza pareva frutto di errori e che quelle erano persone per bene. Il giorno dopo mi chiamò il direttore generale e mi chiese ragione di queste mie perplessità”. Il confronto andò avanti: discussioni, “liti, il direttore del mio dipartimento trovava che io mi sbagliassi, si alzarono i toni.
Anche altri colleghi si espressero a favore del Forteto, il responsabile di neuropsichiatria infantile, ad esempio”. Stessa contrapposizione vissuta da Marino Marunti: “Fin da quando arrivai nel Mugello nel ’98, ebbi perplessità sulla comunità del Forteto, così ermetica, talmente chiusa che sembrava difficile da scardinare”. Marunti seguì direttamente la vicenda di due fratelli affidati al Forteto, che si concluse nel 2001 con la sentenza della Corte europea di condanna dell’Italia ad un forte risarcimento.
Sulla filosofia del Forteto e poi in quella vicenda giudiziaria “tra noi si crearono due correnti: c’era chi, come il responsabile di neuropsichiatria e altri, sosteneva che fosse giusto non far incontrare la famiglia d’origine ai minori affidati. La mia posizione, invece, era diversa: le mie relazioni sono sovrapponibili a quello che si legge nella sentenza della Corte europea”. Non era facile sostenere quella posizione, racconta Marunti: “Ci convocò il direttore generale della Asl, ci disse che il Forteto era una struttura benemerita e meritoria, che meritava supporto.
Ci diceva che bisognava andare tutti nella stessa direzione. Io difesi le ragioni del mio dissenso e mi appellai alla mia responsabilità di dirigente, pronto ad assumermi tutte le conseguenze per la mia posizione difforme”. Il clima nei suoi confronti, dice ancora Marunti, “diventò pesante, c’erano pressioni, delle quali però non mi sono mai preoccupato. Piuttosto, quando arrivò la sentenza della Corte europea, mi sentii confortato”. Quello che resta da capire, osserva Marunti “è questo clima di connivenza sociale estremamente pericolosa, che ha circondato il Forteto: capire il come e il perché.
Il mio parere è che sia accaduto per ingenuità e per interesse”. E cita convegni e seminari con i rappresentanti del Forteto in Senato, in Consiglio regionale, all’Università di Firenze, “l’elenco sarebbe lungo”. “Anche da queste testimonianze – è il commento di Stefano Mugnai –, tutte di persone che non hanno vissuto all’interno del Forteto, emerge un quadro in cui si confermano elementi e spiegazioni di quello che alcuni tra i nostri interlocutori hanno definito ‘l’andazzo’ al Forteto.
E mi riferisco a tutta la vasta rete di pregiudizi positivi, che addirittura arrivavano a non tenere nella minima considerazione sentenze nazionali ed europee passate in giudicato”. “Trovo preoccupante – aggiunge Paolo Bambagioni – che i vertici dei servizi sociosanitari, di fronte a precise segnalazioni e forti titubanze abbiano deciso di andare avanti senza le necessarie e doverose verifiche”.