di Montecristo FIRENZE- No, non siamo blasfemi. E' che, ammettetelo, l'avete pensato anche voi, giovedì scorso, quando la Questura ha diffuso l'identikit dell'uomo che una settimana prima aveva sparato all'indirizzo dell'arcivescovo Giuseppe Betori. Le due immagini pubblicate dagli inquirenti non mostrano elementi di fisionomia distintiva, tanto che il volto ritratto potrebbe somigliare a chiunque, persino alle stesse vittime dell'aggressione, come dimostra il fotomontaggio di Nove da Firenze. Se si escludono le tracce di barba incolta e il berretto di lana scuro, entrambi elementi che non caratterizzano nessuno, le altre varianti del viso disegnato (naso, occhi, labbra, mento, fronte, capigliatura, orecchie) non sembrano particolarmente distintive, anzì piuttosto generiche.
E meno male che non fa ancora freddo. Che se i fiorentini cominciano a indossare berretti di lana, c'è da temere che la Questura possa essere intasata di telefonate di identificazione del colpevole in ogni angolo della città, magari contemporaneamente. La tecnica del "facial composite" cominciò ad essere usata circa 60 anni fa dalle polizie di tutto il mondo, che si avvalevano di ritrattisti per disegnare le sembianze dei volti sulla base delle testimonianze. Successivamente la Smith & Wesson, l'azienda statunitense di armi da fuoco, brevettò un sistema di fogli trasparenti sovrapponibili con varianti di elementi del viso, che ricostruivano un ritratto approssimativo.
Ai nostri giorni poi si utilizzano computer e programmi software di grafica evoluta. Il nostro auspicio è che il colpevole venga assicurato alla Legge al più presto. E non è colpa di nessuno se l'identikit non offre elementi distintivi. Certo è che non sarà facile riconoscerlo solo grazie al berretto e alla barba incolta. Fotomontaggio di Locusta