Un Consiglio comunale straordinario che il presidente dell'assemblea cittadina Eugenio Giani ha aperto nel cenacolo di Santa Croce davanti alle massime autorità cittadine. Le relazioni degli intervenuti hanno spaziato tra ricordi personali, quelli del Prefetto Paolo Padoin, dell'Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori e del presidente di Publiacqua Erasmo D'Angelis, tutti Angeli del Fango nella Firenze del 1966. Un'epoca surreale, vissuta da una generazione per certi versi slegata dal passato, anarchica e votata a cambiare le sorti del mondo, ma al tempo stesso capace di fare proprio un richiamo alle origini, una corsa verso la propria storia ferita rappresentata da quella Firenze in bianco e nero che scivolava sotto le ondate di fango.
Nessuno voleva crederci, gli occhi del mondo erano troppo distanti, ma con le radio e le prima immagini trasmesse anche all'estero divenne irrefrenabile il flusso dei volontari. La relazione del sindaco, Matteo Renzi che si definisce post-alluvionato è votata a mettere in risalto quanto di buono è stato fatto sotto il profilo della sicurezza e dei sistemi di allerta che garantiscono oggi un congruo margine di avvertimento, ed auspica un cambiamento sensibile in qualità e quantità nella realizzazione del depuratore di riva sinistra.
Al tempo stesso il sindaco dice "siamo stati fagocitati dalla burocrazia, se pensiamo a che punto siamo dopo 45 anni". "Si tratta di fare delle buche" - evidenzia il primo cittadino riferendoisi alle 'casse di espansione'. "Certo servono degli accorgimenti tecnici, bisogna rispondere a dei parametri, esistono delle leggi che tutelano, il suolo, i privati, gli enti interessati.. ma sono delle buche". Da qui e per concludere un appello alla Regione ed al Governo a collaborare ed impegnarsi per arrivare al più presto a poter dire che l'Arno è un fiume in sicurezza. Sicurezza che è ben lontana e lo ribadisce Gaia Checcucci, presidente dell'Autorità di Bacino: "Dobbiamo essere sinceri, si è fatto molto con i sistemi di avvertimento, che al tempo non c'erano (come ricordato da Erasmo D'Angelis il governo cittadino discuteva di crisi politica durante la notte ritenendo il problema confinato al Valdarno) però "se adesso mi chiedessero cosa accadrebbe oggi con le stesse quantità di acqua non potrei rispondere che la città sarebbe in salvo".
Per questo Checcucci propone un Patto con il quale impegnare le parti firmatarie a stilare un piano e portarlo a termine "perché sottoscrivere un patto significa firmare e fare quello che c'è scritto sopra". La difesa dalle alluvioni problema irrisolto? Eppure dopo l’alluvione di Firenze, 45 anni fa, molta strada è stata fatta, a cominciare dal primo Piano di Protezione Civile della città pubblicato nel 1986. Il Piano, che era anche il primo predisposto in Italia in riferimento al rischio alluvionale, fu elaborato dalla Prefettura di Firenze (con il coordinamento dell’allora Vice Prefetto Paolo Padoin ora Prefetto di Firenze), con la collaborazione dell'Università di Firenze, unità operativa del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI) coordinata da Ignazio Becchi, sotto gli auspici del Dipartimento della Protezione Civile in quegli anni guidato da Giuseppe Zamberletti.
Un convegno promosso dalla Prefettura di Firenze e dall’ateneo fiorentino ha ripercorso oggi – in occasione dell’anniversario dell’alluvione e dello stesso piano – le misure adottate per ridurre il rischio alluvionale. “Purtroppo l’incontro di oggi è venuto a rivestire una scottante attualità: le aree recentemente alluvionate in Liguria e in Lunigiana impongono una riflessione profonda, una svolta nel modo di affrontare il rischio alluvionale – ha detto Giorgio Valentino Federici, ordinario di Costruzioni idrauliche dell’Università di Firenze, organizzatore del convegno – Se si continua a morire malgrado un servizio di Protezione Civile a livello nazionale e regionale esteso e complessivamente bene organizzato, malgrado sistemi di monitoraggio e di previsione delle precipitazioni e delle portate sempre più affidabili, malgrado attività di pianificazione per la difesa del suolo degli organi preposti vuol dire che questo non basta, che dobbiamo capire cosa non funziona.
Dobbiamo rivedere in modo critico l’impegno di tutti”. “Si impone un riesame da parte di tutti gli organi preposti ma anche un diverso atteggiamento dei cittadini, delle imprese, della società rispetto al rischio idrogeologico – ha sottolineato ancora Federici - Le resistenze ad accettare vincoli di uso del territorio, l’insistenza a voler costruire malgrado tutto in aree a rischio, le pressioni sui Comuni e sulla politica hanno prodotto le devastazioni e le condizioni di fragilità evidenti ormai a tutti e che si rivelano drammaticamente ad ogni evento.
Inevitabile un nuovo percorso: la politica deve indirizzare il processo e cambiare priorità e modalità di interventi”. L’incontro è stato organizzato dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (DICEA) e dal Centro per la Ricerca e l’Alta Formazione per la Prevenzione del Rischio Idrogeologico (CERAFRI). Sono intervenuti Ignazio Becchi (DICEA), Elvezio Galanti (Dipartimento della Protezione Civile Nazionale), Giovanni Seminara (Accademia dei Lincei – Università di Genova), il rettore Alberto Tesi, il prefetto di Firenze Paolo Padoin, Franco Gabrielli capo dipartimento della Protezione Civile Nazionale, il presidente del Consiglio comunale di Firenze Eugenio Giani, l’assessore della Provincia di Firenze Renzo Crescioli, e Marcello Brugioni dell’Autorità di Bacino del Fiume Arno. AntLen