E’ quasi un diario, l’ultimo, quello che Girolamo Savonarola scrive nei 45 giorni di prigionia in cima alla Torre di Arnolfo, in Palazzo Vecchio, nella minuscola cameretta “su cui a malapena una persona si può coricare senza dover piegare le gambe”. Un diario/commento, che racchiude la desolazione e l’angoscia della sua situazione e insieme la speranza per la prossima “redenzione”. Durante i giorni dell’Alberghettino, e nonostante le innumerevoli torture che subisce nel periodo della prigionia, Fra Girolamo riesce a raccogliere le sue meditazioni sui salmi “Miserere” e “In te domine speravi”, oltre che a redigere la “Regola del Ben Vivere” per la famiglia del suo carceriere, convertitosi al cristianesimo proprio grazie alla sua testimonianza.
In questo volume Padre Sorgia segue il filo dei pensieri di Savonarola e li commenta, ripercorrendone e inquadrando il personaggio sia da un punto di vista storico che politico oltre che semplicemente umano. Il grande pensatore, politico, amante di Firenze svela così la sua profonda crisi alla quale però oppone una fervida convinzione che dimostra la profondità della sua fede: qualunque sia la Verità, Dio avrà misericordia di lui, nella sua infinita bontà. Scrive Sorgia: Nella deserta solitudine di quella cella verso la sommità della Torre di Arnolfo in Palazzo Vecchio, detta l’«Alberghettino», entro cui venne condotto prigioniero, gli implacabile e diuturni esami di coscienza mostravano al Savonarola un sé stesso non più immune da colpe gravi ma carico di pesanti mancanze contro la priorità dovuta a Dio, per essersi spinto eccessivamente nell’amore riserbato a Firenze («Firenze, sono impazzato per te! Di te mi sono innamorato!») e, peggio, impegolato in questioni di vera e propria politica anche se sospinto dal vivissimo desiderio di ricristianizzare la città fattasi pagana.
Avendo in orrore il peccato e prostrato per aver perso conseguentemente la grazia divina, la mente e il cuore nutriti da sempre dalla Scrittura Santa non faticarono a presentargli altre vicende umane che avessero analogia con la propria. Ecco la scelta di commentare il Miserere, che lo avvicina alla condizione “peccaminosa” del pure santo re Davide, in un parallelismo estremamente simbolico che si conclude con un inno alla speranza: Entrambi, in pianto, meditarono sulle deformità del peccato (vero o solo temuto) che spezza il filo di un’intima amicizia con Dio; nutrirono sentimenti di acuta nostalgia di poterlo al più presto e definitivamente riannodare: quindi ripeterono tutta la propria fiducia nell’ottenimento del perdono, col desiderio di vivere d’ora in avanti nella più assoluta fedeltà.
Inframezzata ai due salmi, la meno nota ma ugualmente interessante “Regola del buon vivere”, che Savonarola scrisse per contentare il suo carceriere, che gli aveva chiesto di scriverla. Si tratta di un piccolo trattato di 5-6 pagine, sul ben vivere cristiano e che il secondino non si accontentò di tenere per sé, ma lo fece presto circolare in città, tanto che fu edito nello stesso anno della morte del regligioso. Scrive Savonarola: “Tutto il ben vivere cristiano procede dalla grazia del nostro Salvatore Gesù Cristo, senza la quale nessuno può salvarsi.
Perciò chi vuol vivere bene, bisogna innanzitutto che si sforzi di acquistare questa grazia; e quando l’ha acquistata, dovrà cercare di accrescerla e, infine, studiare giorno e notte di perseverare in essa sino alla morte.” Infine, l’avvicinarsi dell’ultima ora, e il delinearsi ormai certo della conclusione, a suo sfavore, del processo, sospinge il senso di serenità ritrovata nuovamente nella tristezza e nel bisogno di attingere alla speranza teologale. Nasce la riflessione su “In te domine speravi” che si concluse però al terzo dei 25 versetti di cui è composto il salmo, con il termine, il 23 maggio del 1498, della sua detenzione nell’Alberghettino e della sua vita terrena: “Davvero è inviolabile, Signore, il tuo rifugio, cui non può accostarsi il male della Tristezza! Ho capito questo, Signore, e perciò ho ripreso a sperare in te.
Quantunque la mole dei peccati pesi duramente su di me, tuttavia non riesco più a disperarmi, dal momento che la tua bontà tanto benignamente mi invita a confidare. Ecco perché «mai sarò deluso». Potrò esserlo magari quaggiù, per qualche tempo, ma giammai eternamente. La Speranza infatti mi ha condotto al tuo inespugnabile ricetto; non mi ha insegnato a desiderare le cose temporali ma quelle eterne. La Speranza ha come oggetto le realtà invisibili: «Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne».
Così, dando ascolto alle parole della Speranza venuta per strapparmi dagli artigli della Tristezza, io ho sperato in te, Signore, col desiderio di essere per prima cosa liberato dai peccati e di poter giungere – per la misericordia e la grazia tue – alle cose invisibili ed eterne. Questo, lo ripeto, è il mio primo desiderio”. La fiorita. Frà Girolamo Savonarola trovò la morte sul rogo il 23 maggio 1498 in piazza della Signoria. In suo ricordo ogni anno, il 23 maggio, viene celebrata una Messa nella Cappella dei Priori in Palazzo Vecchio mentre sulla lapide circolare situata sul lastrico della piazza, che segna il punto esatto dove fu impiccato e arso assieme ai suoi due confratelli, Frà Domenico Buonvicini da Pescia e Frà Silvestro Maruffi da Firenze, i frati domenicani, le autorità comunali e i cittadini spargono petali di rose tra rami di palme, con l'accompagnamento di musica e l'esibizione degli sbandieratori.
La cerimonia nasce dal fatto che il giorno successivo al rogo il luogo del supplizio fu trovato ricoperto di fiori. E’ l’omaggio che ogni anno la città di Firenze fa all’uomo che tanto la amò.
Girolamo Savonarola
Girolamo Savonarola nacque a Ferrara il 21 settembre del 1452 da Niccolò e dalla mantovana Elena Bonaccorsi, probabilmente di famiglia modesta. La sua istruzione si formò con studi di filosofia, musica, medicina e disegno anche se ben presto, più precisamente all’età di 20 anni, periodo in cui compose la sua prima opera il “De ruina mundi”, disgustato dalla corruzione e decadenza dei costumi, lasciò Ferrara e si fece domenicano a Bologna nel 1474.
Durante tale periodo di riflessione, scrisse il "De ruina ecclesiae", opera in cui espresse apertamente quella esigenza di rigenerazione del clero, non più dedito alla sua primaria funzione di mediatore tra Dio e l’umanità peccatrice (tema per altro ricorrente nelle sue prediche al popolo). Per qualche tempo dovette tornare a Ferrara per continuare gli studi teologici ma, poi, fu richiamato nel 1482 da Lorenzo il Magnifico che lo avrebbe voluto come lettore nel convento di S. Marco, in quanto abile oratore e persona colta, doti apprezzate dal signore fiorentino.
Ma a dispetto delle attese, la prime prediche del Savonarola ebbero scarso successo, così che , lo stesso, vista la situazione non rosea, fu costretto a recarsi altrove: tra il 1485 e il 1489 si trovò a Bologna, Ferrara, Brescia e Genova dove nei quaresimali non fece che riproporre la necessità di una generale penitenza, unica condizione per poter ottenere la salvezza. La sua iniziativa fu tale che, Lorenzo, più tardi lo richiamò a Firenze sotto diretto invito di Pico della Mirandola e qui, non più come prima, il Savoranola iniziò un ciclo di prediche sull’Apocalisse riuscendo a conquistare i fiorentini i quali, proprio a partire dal 1491, vollero che predicasse in Santa Maria Novella, ed in seguito riuscì a diventare anche priore di S.
Marco, convento con cui era iniziata la sua "avventura fiorentina"; grazie alla sua attività predicativa contro la corruzione dei costumi, più tardi, orientò lo stesso popolo che lo aveva sostenuto verso un modello di vita più austero, punto primario della sua attività oratoria. Il prestigio del Savonarola aumentò anche grazie alla venuta di Carlo VIII e alla cacciata di Piero de Medici, periodo corrispondente alla fondazione della repubblica e riuscì a diventare arbitro della vita fiorentina appoggiando Pierantonio Soderini, eminente personaggio politico, in una riforma della costituzione della Repubblica per cui la città fu sottoposta ad un regime "Demo-teocratico"(1494).
Con essa non mutò solo l’assetto politico della città ma anche la vita stessa: il Savonarola propose infatti l’abolizione del lusso e dell’usura tramite i cosiddetti roghi della vanità e la creazione di un Monte di Pietà; non solo ma anche coloro che conducevano una vita disordinata furono sottoposti a giudizio e venne inoltre istituita una imposta fondiaria. Infine Savonarola ottenne un allargamento del corpo politico con l’istituzione del Consiglio Maggiore al quale vennero attribuiti poteri molto ampi.
Superate le prima difficoltà, anche se preso dall’attività politica, Savonarola non si distolse dal predicare, varcando però i limiti di ciò che era "lecito" ad un religioso e si scontrò così con Papa Alessandro VI, a cui rimproverava i corrotti costumi. Egli, inizialmente, gli proibì di continuare nella sua attività predicativa (tutto ciò accadde nel 1495): ma la sfida lanciata dal domenicano non fu così facilmente vinta perché il Savonarola osò disubbidire all’ordine papale, la quale colpa gli costò, due anni dopo circa, la scomunica e l’appellativo di "eretico".
La situazione non peggiorò solo dal punto di vista "religioso" ma anche politico, in quanto, anche se appoggiato dai "Piagnoni", i suoi nemici, tra cui ricordiamo i Bigi (fautori dei Medici), gli Arrabbiati (la parte più intransigente dell’antica oligarchia) e i Compagnacci (gli insofferenti del suo rigorismo morale) seppero seminare il malcontento tra i Fiorentini che erano stati minacciati dal Papa di interdetto. Poiché non si era sottoposto alla sfida della prova del fuoco, accettata in suo nome da un suo seguace, Fra’ Domenico Buonvicini da Pescia, il popolo si ribellò e nel 1498 diede l’assalto a S.
Marco durante il quale Savonarola venne catturato ed in seguito torturato e sottoposto a ben tre processi, a cui erano presenti alcuni inviati papali, insieme con Fra’ Domenico e un altro confratello, Silvestro Maruffi. Al termine di tutto ciò il Domenicano fu condannato per eresia ed impostura ad essere impiccato ad una croce e bruciato: tale sentenza fu eseguita nel maggio dell’anno stesso nella Piazza della Signoria e le sue ceneri vennero sparse in Arno. Un politico-scrittore a lui contemporaneo ed oppositore, Niccolò Macchiavelli, lo definì un profeta "disarmato" cioè mancante di forze proprie nel gestire la situazione che era riuscito a creare in Firenze: la figura di tale personaggio fu subito oggetto di discussione poiché c’era chi vide in lui l’eretico, chi il santo, chi il precursore della Riforma.
Si deve ricordare che egli fu, anzitutto, un ardente e coraggioso sostenitore della necessità di una riforma dei costumi, a cominciare dal clero, anche se non discusse mai i dogmi della Chiesa, di un cambiamento degli atteggiamenti umanistici di questo, in nome di una semplice, autentica religiosità e, dal punto di vista politico, si può affermare che ebbe enorme fiducia nel popolo poiché gli appariva la parte più sana della società.
Il curatore
Padre Raimondo Marco Sorgia domenicano laureato in teologia dogmatica, tradusse dal latino la tesi di laurea dell’allora studente presso l’Angelicum, don Carol Wojtyla (Giovanni Paolo II).
Ha scritto un centinaio di saggi, tra i quali ricordiamo Breviario Savonaroliano (Ed. Ponte alle Grazie), Il poeta dal calice proibito (Ed. Elle Di Ci), Non violenza, una carta vincente (Ed. Rogate), Caterina da Siena, ambasciatrice di Dio (Ed. Paoline), Caterina de’Ricci (Ed. Messaggero), Il boschetto degli Allori (Ed. Angelico), Ribalte Cristiane (ed. Dramma Popolare di San Miniato). Appassionato di musica ha composto anche diversi cd di canzoni su testi spagnoli e catalani.
La Libreria Editrice Fiorentina
La Libreria Editrice Fiorentina fin dalla sua nascita, nel 1902, si è dedicata alle fonti di una parte essenziale della civiltà italiana col proposito di servire l’annuncio cristiano e le azioni che ne derivano, insieme alla luce universale della coscienza morale.
Mentre l’annuncio è per tutti, la scelte di fede cristiana non è ora data a tutti, ma i cristiani parlano a tutti sul piano della natura e dell’amore per la creazione come dono di Dio. Ecco perciò l’impegno delle Lef nelle collane “Quaderni d’Ontignano” e nella pubblicazione della collana monografica “L’Ecologist italiano”, nonché in tutte le materie che aiutano a demistificare le minacce alla dignità umana e a individuare vie di liberazione.