Dopo un paio di film di debutto molto apprezzati quali L’Uomo in Più e Le Conseguenze dell’Amore , e dopo il meno riuscito L’Amico Di Famiglia, il 38enne napoletano Sorrentino si cimenta con quella che, sulla carta, era un’operazione pericolosissima ed impervia. Un film sul senatore a vita Giulio Andreotti si portava dietro, oltre ai perigli del biopic in sè come genere , tutta la spigolosità e l’indecifrabilità della figura principe che intendeva raccontare. Facile cadere, da una parte, in una ricostruzione dei fatti documentaristica, giornalistica, come molti dei film di Giuseppe Ferrara.
Facile scadere nella macchietta e nella parodia, d’altro canto, con un personaggio che così tanto si presta a figure allegoriche. Sapientemente, Sorrentino ha evitato questi rischi per il suo “Il Divo – La straordinaria vita di Giulio Andreotti “ , realizzando un vero e proprio film di immagini , di montaggio, di attori ; il regista ha scelto il suo modo di raccontare la vicenda di Andreotti, fondendo la storia scritta nelle pagine dei libri con qualche licenza poetica e raccontando non solo un personaggio, più che un politico realmente esistente (straordinario Servillo), ma tutta una Nazione negli anni più foschi della sua storia recente.
Con uno stile visionario, a volte barocco, a volte quasi pop, Sorrentino ci guida nei dieci anni del declino politico del Senatore a vita : dal suo ultimo governo, durato appena un anno per l’incedere prepotente di Tangentopoli, alla morte della Prima Repubblica, fino al processo per associazione mafiosa. Proprio questa scelta narrativa permette al regista di svicolare dalla biografia vera e propria e addentrarsi in una riflessione sul potere e le sue contraddizioni, più che sull’ uomo che per tutti quegli anni lo ha incarnato nella nostra nazione.
Il film è cinema , vero e puro cinema, dove tutto sembra amalgamarsi alla perfezione.
Gli attori sono perfetti : la Bonaiuto ( la fedele moglie Livia ) e Piera Degli Esposti (la segretaria del Nostro) sono le figure che rivelano la dimensione privata del Divo, mentre un intenso Flavio Bucci (bel ritorno, il suo, dopo un periodo di assenza dagli schermi) è uno struggente Evangelisti, imperfetto e incapace di capire in toto la figura di cui per anni è stato il portaborse. Carlo Buccirosso infine interpreta Pomicino, con una verve sfavillante e luciferina.
Ma non è solo un film di attori : il Divo non sarebbe tale senza il perfetto matrimonio fra le immagini e le musiche composte da Teho Teardo, e soprattutto senza quello che è ormai a tutti gli effetti il miglior direttore della fotografia oggi in Italia, quel Luca Bigazzi che pur mettendosi al servizio della storia e del regista con il quale lavora, riesce sempre a mettere una propria personale e riconoscibile firma nelle atmosfere dei film nei quali lavora.
Se qualche pecca vogliamo trovarla, è nel minutaggio : il lavoro è complesso , difficile da seguire, quindi non per tutti gli spettatori ; una sforbiciata di una decina di minuti non avrebbe tolto nulla, anzi. E se proprio vogliamo, c’è un’altra questione che ti attanaglia all’uscita del cinema. Questo Andreotti di Sorrentino/Servillo ti affascina, ti prende, ti ispira rispetto, grandiosità, ammirazione, timore, compassione, è un personaggio magmatico, un villain quasi di Wellesiana memoria.
Sarà il fascino compulsivo del male, ma questo Andreotti è un male al quale non sai rinunciare e da cui ti senti irretito e partecipe, quasi complice. Anche quando, sconfitto da Scalfaro alle elezioni per il presidente della Repubblica, lo vedi incassare la malaparata e applaudire, impassibile, il rivale trionfante. Ti senti d’accordo con Sbardella che dice ad un deputato vicino : “guarda, osservalo, osserva come si sta al mondo”.
Se questo fosse stato un biopic, sarebbe stato inammissibile.
Ma è cinema puro, e diventa un momento epico.
MC