Applaudito al recente festival di Cannes “Sanguepazzo” è opera del regista Marco Tullio Giordana, autore impegnato che ha spesso coniugato la sua opera con la storia. Anche in Sanguepazzo è affrontata questa non facile dialettica tra fiction e storia. La vicenda inizia all’alba del 30 aprile 1945, cinque giorni dopo la Liberazione, quando vengono trovati nella periferia di Milano i cadaveri di Osvaldo Valenti (Luca Zingaretti) e Luisa Ferida (Monica Bellucci), giustiziati poche ore prima dai partigiani.
Protagonisti del cinema dei telefoni bianchi che il fascismo aveva tanto sostenuto, Valenti e la Ferida avevano sempre recitato la parte dei cattivi, turbando e affascinando il pubblico perbenista con personaggi che, in parte, rispecchiavano la spregiudicatezza della loro vita privata. Giordana racconta la vicenda della coppia, usando due piani temporali, cercando di fare emergere più che la “verità” storica la personalità dei due personaggi. Osvaldo Valente è per il regista un italiano “tipico”, geniale e opportunista, cinico e generoso, un insieme di contraddizioni che l’ottima interpretazione di Zingaretti rende in modo convincente, come convincente è il personaggio della Ferida, (interpretata da una Bellucci che stavolta si fa apprezzare non solo per la bellezza)diva del cinema e donna divisa tra l’amore platonico per il regista Golfiero Goffredi e la morbosa attrazione per Valenti.
Giordana cerca anche di raccontare il cinema in tempo di guerra, la guerra vissuta da due attori che, incapaci di vivere la vita reale, procedono inesorabilmente verso la catastrofe. Il film forse eccessivamente lungo si fa apprezzare per l’ottima fotografia, una sapiente ricostruzione degli ambienti e una buona fusione con i documentari dell’epoca. Le ambiguità dei personaggi che interagiscono con i protagonisti, potrebbero indurre una certa critica ad accusare Giordana di revisionismo. In realtà narrando una vicenda storica non priva di contraddizioni, il regista, da sempre schierato su posizioni progressiste, suggerisce, di cogliere nel caso di Valenti e della Ferida anche gli opportunismi e la capacità molto italiana di soccorrere sempre il vincitore.
In Osvaldo Valenti è forse, anche, esemplata la descrizione di un carattere nazionale: una sorta di velleitario narcisismo incapace spesso di coerenza e determinazione.
Alessandro Lazzeri
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