La finestra letteraria: Collodi a Firenze

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
05 ottobre 2007 18:50
<I>La finestra letteraria</I>: Collodi a Firenze

di Francesco Luti
La finestra letteraria di Nove da Firenze finalmente si spalanca su una città d'inizio ottobre, e lo fa con un autore toscanissimo, o fiorentinissimo visto i natali. Carlo Lorenzini, meglio conosciuto come Carlo Collodi col nome del paese dov'era nata sua madre in segno di omaggio. La Toscana, per la sua diversità di paesaggio, è un piccolo continente capace di racchiudere in sé più paesaggi diversi che sfioreremo dalla nostra finestra. Nel caso di Carlo Collodi e, in particolare, nella sua opera più celebre, Le avventure di Pinocchio (1883), il paesaggio non è reale non corrispondendo esattamente a un luogo concreto.

Ciononostante la toscanità dell'autore fa sì che se vi siano segni tangibili delle nostre campagne. Collodi era nato nel 1826 nel centro di Firenze, precisamente al numero civico 21 di via Taddea. Se qualcuno di voi ci càpita (è dietro il mercato di San Lorenzo) vi troverà un'iscrizione in marmo che ricorda la nascita di questo scrittore che in vita ha penato non poco per affermarsi. Il prezzo che pagano, quasi sempre, i grandi artisti che scorgono il baratro prima di risalirne per la consacrazione definitiva.
In un'Italia che stava per nascere come stato politico, Collodi visse a Firenze, nel 1865 pure capitale del regno, in un'epoca di grande agitazione politica e culturale.

E in questo stato di fatto anche il sentimento di unità linguistica si faceva sentire perché poteva corrispondere alla stessa unità politica. Giornalista di professione e critico di teatro, Carlo Collodi era figlio di una sarta e di un cuoco entrambi alle dipendenze della famiglia Ginori. Non a caso molti degli impiegati di questi nobili fiorentini, abitavano nelle strade limitrofe all'attuale via dei Ginori. Scrittore, il Collodi, che si era presentato al pubblico già nel 1870 con un libro istruttivo rivolto alla borghesia giovanile, Giannettino.

Collodi era un affezionato al gioco delle carte con tutte le conseguenze del caso. Dunque, spesso, doveva ricorrere a prestiti di denaro, e fortuna volle che il censore teatrale che nel frattempo abitava a Castello, estrasse dal cilindro il libro più amato dai ragazzi di tutto il mondo. E dal cilindro appunto ne uscì un burattino di legno, presentato a puntate dal 1881 su una rivista per ragazzi, Il giornale dei bambini, creando un filo diretto con i piccoli lettori, entusiasmandoli tanto da far gridare a furor di popolo la continuazione di quelle avventure.

Pinocchio, infatti, sarebbe dovuto morire impiccato a una grande quercia al quindicesimo capitolo, ma le numerose proteste dei ragazzi che scrissero al direttore, lo convinsero a reingaggiare Collodi che arrivò così a scrivere fino al trentaseiesimo capitolo.
Non si tratta di un'opera per bambini o ragazzi e basta; quello di Collodi all'epoca in cui fu riunito in volume, nel 1883, apparve come un libro rivoluzionario. Lo era certamente perché rompeva con la tradizione precedente di letteratura per ragazzi, una letteratura istruttiva, educativa che imponeva delle regole da seguire, e soprattutto destinata ai figli della borghesia.

Una letteratura spesso priva di arte, col solo fine di dare al bambino coscienza sociale e nazionale, educandolo cioè a esser figlio della nazione appena nata. Collodi era cresciuto in San Lorenzo tra i rumori del mercato, non poteva dimenticarselo, e irrompeva nel panorama di una Firenze all'avanguardia in quel periodo nel campo della letteratura pedagogica grazie ai professori Thouar e Lambruschini e alla impostazione prettamente cattolica e moderata.
Una letteratura dove il bambino aveva fino allora giocato un ruolo passivo, vedeva il rovescio della medaglia col personaggio inventato da Collodi.

Pinocchio fa di testa sua, sceglie, si pente, ma sceglie, ed è quindi grazie all'esperienza che matura coi suoi errori che può diventare un bambino come gli altri. Tuttavia il cammino non sarà facile, e il piccolo Ulisse-Pinocchio dovrà imbattersi in tremende avventure che lo metteranno innanzi alla cruda realtà della vita. Il moralismo tanto in voga è solo evidenziato alla fine nel libro di Pinocchio, ma quello che conta è che il tipo di moralismo impiegato è legato indissolubilmente alla fantasia.

E per mettere in gioco tutte le sue carte, per farle ballare magistralmente sul tavolo, Collodi, per la prima volta nel genere, utilizza l'ironia. E grazie ad essa e alla lingua toscana legata all'oralità Collodi ci riesce, azzeccando in pieno la mossa. Il suo stile unico e il ritmo del racconto ne fanno un capolavoro di letteratura mondiale. La nostra Toscana ne rimane presente anche e soprattutto nelle parole di Collodi, più che nei paesaggi che sono in parte interiori, e dove i castelli, i draghi e il mare sono quelli di tutti.

Un realismo fantastico dunque, ma con i colori, le figure rustiche della Toscana, i cibi consumati al Gambero rosso dal Gatto e la Volpe con Pinocchio spettatore, ci riportano di colpo all'infanzia di chi ha vissuto in questa terra e di questa terra conserva inevitabilmente le radici.

Notizie correlate
Collegamenti
In evidenza