Si inaugura venerdì 15 giugno alle ore 17 negli spazi di Palazzo Cerretani, a Firenze, la mostra fotografica di Waris Grifi Cotone e Poggetto, sobborghi industriali in Toscana, sintesi di un accurato percorso multidisciplinare: ricerca antropologica, studio urbano e del territorio, commento sociale e lavoro artistico si fondono in una raccolta dal forte ma non esclusivo carattere documentale.
Ispirata metodologicamente e per rigore concettuale all’“osservazione partecipante” di Malinowski, nonché al genio fotografico di Walker Evans e del suo American Photographs, la mostra si sviluppa attraverso un percorso di 57 fotografie bianconero - bipartite: parte prima e seconda - estratte dalle 102 totali che compongono il libro fotografico omonimo, edito da Bandecchi & Vivaldi.
Ambedue i progetti, ricerca e pubblicazione, finanziati dal Comune di Piombino, cui i due sobborghi appartengono.
Cotone e Poggetto, toponimi rurali a pochi chilometri dalla città, tagliati fuori per frapposizione dell'acciaieria, nascono come dormitori nei primi anni del ’900 per ospitare l'ingente massa contadina che dalle campagne del centro Italia si riversa nella neonata industria siderurgica. Popolose borgate nel periodo fascista, sopravvissute ai bombardamenti del periodo bellico, vivono il loro miglior periodo negli anni del miracolo economico, anni in cui, forse più di sempre, incarnano quei valori simbolo dell’identità operaia in cui si riconosce pressoché totalmente l’intera comunità piombinese: umanità proletaria e classe lavoratrice di una città Medaglia d’Oro della Resistenza, stimata come uno dei maggiori poli metallurgici nazionali.
Grifi volge la sua macchina fotografica ai due quartieri quando sono ormai prossimi a compiere un secolo di vita e il mondo, con il passaggio al terzo millennio, è in procinto di un salto epocale.
Ancora una volta Cotone e Poggetto non sono disgiunti dalla sorte dell’industria che li ha generati. Piombino e i suoi sobborghi vivono la stessa crisi d'identità di intere comunità europee, anch’esse colpite dalla débâcle dell'industria pesante occidentale, ferite mortalmente nel loro status identitario operaio.
Da ex piombinese d’adozione, il fotografo coglie nell’atmosfera che permea il paesaggio urbano quel senso sospeso di dismissione, comune - e al tempo stesso peculiare - ad ogni luogo di “frontiera”; la sua lente scandaglia l’identità abitativa urbana e l'estetica visuale dei luoghi, ne mostra i dettagli vernacolari, relaziona l’abitato al territorio e ambedue alla trama del tempo; l’occhio fotografico sceglie e contestualizza volti e accessori domestici, arredi e automobili; li organizza in sequenze cicliche, afasiche, enigmatiche e disvelatrici; ferma per sempre pugnali e fucili, coltelli da macellaio e pelli di lupo, lavatrici, targhe ricordo e spiazzi desolati.
Se la parte seconda presenta una sorta di fisiognomica del paesaggio urbano e lo contestualizza, la prima indaga il quotidiano, ne fa respirare l’aria immortalandone dettagli, ambienti e persone.
Anche i titoli delle fotografie celano, spiegano, rimandano, significano. Tutto deve essere letto, per prima la fotografia. Niente che urli, che sgomiti per farsi notare, non c’è spettacolo: assente il gigantismo. Grifi fa propria la lezione di Walker Evans - che a sua volta, verosimilmente, l’aveva appresa da Eugène Atget - di sparire dietro la propria opera.
Difficile dire quanto questo possa essere possibile, certo all’essenzialità dello stile e al linguaggio fotografico adottato corrisponde una mole di lavoro non indifferente: un arco di lavoro di circa 10 anni, 6000 scatti selezionati, 4 anni di camera oscura curata personalmente, centinaia di stampe di diverse dimensioni, dai provini formato cartolina a quello classico, “quaranta trenta”, scelto per la mostra.
Un lavoro intenso e minuzioso, quasi una provocazione nei confronti di alcuni degli approcci più superficiali non di rado riscontrabili nel mondo fotografico contemporaneo: destinare una tale dedizione e tanto tempo quanto sarebbe necessario per fotografare una nazione o una metropoli a due anonimi e marginali sobborghi industriali di provincia.
Un censimento fotografico.
La celebrazione di un luogo e dei suoi abitanti.