Ispirato alla gastrosofia del «Più che una questione di etichetta è una questione di forchetta», alla prima uscita lo scorso anno ha fatto suo malgrado tendenza. Segno che ha colto nel segno. O forse nel sogno: quello di mangiare bene spendendo il giusto e recuperando i sapori e le prassi gastronomiche della tradizione. Così anche noi abbiamo il nostro Dan Brown (della panzanella) e il nostro Codice è il Codice da Pinci! Conoscete i pinci (detti anche pici)? No? Be’ qui se ne parla. Sono una sorta di spaghetti fatti a mano diffusi nell’area Sud della Toscana.
Come si parla di mille altri desinari dimenticati dalla critica gastronomica. È la cifra che è diventata in un solo anno un must, quella del gambero rozzo: cercare quegli osti, quelle trattorie e quei ristoranti che ripropongono una sana cucina di territorio. Nell’edizione del secondo anno di vita la guida si presenta ancora più ricca: sono stati incrementati i locali recensiti, che ora sfiorano quota 1200 con una panoramica completa di tutte le regioni d’Italia, e accanto all’indicazione dei dieci locali da non perdere spunta il primo albo d’oro.
Ma ciò che più conta è che Il gambero rozzo è diventato una sorta di libro di culto per i tanti appassionati del mangiar bene spendendo il giusto, ossia per gli eretici della critica gastronomica secondo la quale chi non cucina strano non ha diritto alle stelle. E anche in questo il nostro Codice da Pinci è un caso, ha risvegliato i sani appetiti e le intelligenti consapevolezze di chi sedendosi a tavola chiede semplicemente un morso di felicità.
Quattrocento ricette, una più una meno, per recuperare il gusto perduto.
È questo il piatto che Le ricette e i vini del Gambero rozzo offre al lettore. Ma, attenzione, queste sono le ricette vere delle cuoche e dei cuochi che animano le trattorie e le osterie italiane raccontate dal Gambero rozzo, la guida gastronomica antimodaiola, diventata un libro di culto, che elenca quei locali dove il desinare è saporito e il conto leggero, dove il servizio è quello che è ma sempre cordiale; locali che tengono in alto il vessillo della cucina tradizionale e perpetuano il sapere gastronomico del territorio.
Le ricette sono espresse in forma semplice in modo che chiunque possa riprodurle a casa propria oppure semplicemente acquisire una maggiore consapevolezza di cosa mangerà fermandosi in uno dei locali recensiti sul Gambero rozzo. È una lettura golosa anche perché ogni regione è presentata con un compendio dei piatti che maggiormente la connotano e delle sue origini e ragioni gastronomiche, e non mancano spunti di riflessione sul senso della cucina. In più è un chiaro manifesto contro il carovita e il caro-calorie.
Perché qui si parla di piatti che sono alla portata di tutti (come investimento e come esecuzione). A completare, com’è giusto che sia, i sapori della tavola ci sono i profumi delle bottiglie. Ogni ricetta infatti è abbinata a un vino di cui si dà conto nelle origini e nel prezzo. Insomma se l’Artusi unì la cucina italiana facendosi suggerire le ricette dalle massaie, il Gambero Rozzo rivaluta la vera cucina italiana mettendo a disposizione di tutti la sapienza delle osterie e delle trattorie: i veri monumenti dello stile italiano in cucina.
Carlo Cambi è toscano di nascita e di cultura e ora vive a Macerata.
Ha fatto il giornalista militante per un quarto di secolo, poi nel 1997 ha fondato «I Viaggi di Repubblica», che ha diretto per otto anni. Attualmente è docente di Teoria e Politica del Turismo presso l’Università di Macerata. Membro del comitato scientifico della Fondazione Qualivita, Presidente del Comitato Scientifico dell’Enoteca Italiana, autore di libri di enogastronomia di successo e Presidente della Strada del Vino Terre di Arezzo, ha deciso di raccontare, con l’onestà del cronista e l’eresia dello studioso, l’enogastronomia partendo dalle cause e non dagli effetti per coltivare soprattutto affetti: l’affetto di chi sudando nei campi e tra i fornelli fa prevalere le ragioni del cibo sullo show-business.
Il gambero rozzo e Le ricette e i vini del Gambero rozzo si avvalgono di una pattuglia di osservatori a cui è demandato il compito di visitare i locali e fare le segnalazioni. La redazione dei testi è affidata alla cura di due strettissime collaboratrici: Petra Carsetti, promoter di territorio e cuoca, e Maria Stefania Gelsomini, giornalista specializzata in beni culturali, territorio ed enogastronomia.