Termina il restauro dell’Altare d’argento del Battistero di San Giovanni, uno dei grandi capolavori conservati nel Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze. Dal 1 aprile 2012 torna visibile al pubblico dopo un complesso restauro, durato circa sei anni, diretto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze su incarico dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Nella stessa occasione viene presentata anche la grande Croce d’argento posta sopra l’altare, eseguita tra il 1457 e il 1459 da Antonio del Pollaiolo e collaboratori, tra cui probabilmente Cennini, per custodirvi un frammento della croce di Cristo, donato secondo la leggenda da Carlo Magno.
Sia l’Altare d’argento che la Croce facevano parte del tesoro del Battistero di San Giovanni mostrato ai fedeli due volte all’anno in occasione della festa del Perdono e del San Giovanni Battista. L’inaugurazione al pubblico sabato 31 marzo 2012, alle ore 10.30, alla presenza di Sua Eminenza Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo Metropolita di Firenze, del presidente dell’Opera, Franco Lucchesi, del Soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, Marco Ciatti e del direttore del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Timothy Verdon.
Un volume dal titolo “La Croce e l’altare d’argento del tesoro di San Giovanni”, Franco Cosimo Panini editore, sarà pubblicato per l’occasione. Il restauro ha restituito lucentezza e leggibilità alle due opere, alterate da vari fenomeni di degrado. Nel caso dell’altare, l’ossidazione dell’argento oltre a causare danni irrevocabili agli smalti faceva apparire l’opera di un color grigio – nero invece che argenteo. Il monumentale altare d’argento (cm 310 x 150 x 88) fu commissionato nel 1366 dall’Arte di Calimala come dossale per l’altare maggiore del Battistero: occorsero oltre cento anni di lavoro, 200 chili d’argento e 1050 placchette smaltate per portarlo a termine nel 1483.
Alla sua realizzazione lavorano i maggiori maestri orafi e scultori di più generazioni: da Leonardo di ser Giovanni e Betto di Geri a Cristofano di Paolo, Tommaso Ghiberti e Matteo di Giovanni, Bernardo Cennini, Antonio di Salvi, Michelozzo, Antonio del Pollaiolo e Andrea del Verrocchio. Tra le dodici formelle che descrivono la vita di san Giovanni, l’ultima in ordine di tempo è la Decollazione del Battista eseguita da Andrea del Verrocchio, ma la costruzione prospettica, l’architettura classicheggiante e le drammatiche reazioni emotive hanno fatto pensare anche a un intervento di Leonardo, allievo del Verrocchio.
L’altare d’argento “rappresenta una sintesi delle principali tendenze dell’oreficeria e della scultura fiorentine dall’età gotica al pieno Rinascimento - afferma Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera - tanto da essere considerato uno dei massimi capolavori”. La grande Croce - alta 1,93 m, larga 0,88 cm, realizzata con circa 50 kg di argento - fu eseguita da Antonio del Pollaiolo e collaboratori, tra cui probabilmente Bernardo Cennini. Pagata nel 1459 la cifra iperbolica di 3.036 fiorini d'oro, di cui 2.006 andarono al Pollaiolo e 1030 all’orafo Betto di Francesco Betti.
La Croce è realizzata in argento, in parte di lamina ed in parte di fusione, arricchita da smalti traslucidi oggi purtroppo persi in gran parte, anche se non è chiaro se molte delle placche, soprattutto della base, in realtà non furono in origine completate. Nonostante questo è possibile apprezzare la finissima incisione del Pollaiolo. Come l’altare d’argento, la Croce fu commissionata dall’Arte di Calimala per contenere un frammento della croce di Cristo, il cui culto rischiava di passare in secondo piano con l’arrivo a Firenze di un'altra reliquia di proprietà dell’Arte della Lana, eterna concorrente di Calimala. Il restauro dell’altare d’argento, iniziato nel 2006, coordinato e diretto dal laboratorio di restauro delle Oreficerie dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, diretto da Clarice Innocenti, con la partecipazione del settore Scultura Lignea e del Laboratorio scientifico, è stato eseguito da un’equipe di restauratori composta di ex allievi dell’Opificio.
I fenomeni di degrado interessavano sia i materiali che la struttura stessa. In particolare l’ossidazione dell’argento era all’origine dei distacchi, con conseguente distruzione degli smalti posti sulla superficie dell’opera. Il monumentale altare è stato smontato in oltre 1500 pezzi, sottoposti a un minuzioso intervento di pulitura, consolidamento e eventuale integrazione delle componenti meccaniche e di collegamento, un passaggio, questo, diversificato e calibrato in funzione delle esigenze conservative delle varie parti e dei diversi materiali.
Parallelamente ha avuto luogo il restauro di tutta la struttura lignea e delle maestose cornici di legno dorato, che ha riportato alla luce il finissimo lavoro di intaglio. Per la Croce il restauro si è focalizzato principalmente sulla rimozione dei sali verdi di rame e della vernice protettiva ormai alterata, che conferivano all’opera un aspetto snaturato. Nell’ultimo restauro la Croce non fu smontata capillarmente per la pulitura, e questo impedì la rimozione ottimale dei prodotti utilizzati che con il tempo, agendo sotto la pellicola protettiva, hanno comportato la creazione di sali verdi di rame (rame presente in lega nella composizione dell’argento).
Oltre alla rimozione delle sostanze dannose, e delle cospicue quantità di colla, sono stati sostituiti tutti gli ancoraggi in ferro con nuovi in argento e posti, dove necessario, spessori e elementi di rinforzo strutturale.