di Nicola Novelli FIRENZE - E' da venerdì notte che l'informazione italiana ed estera si occupa dell'affondamento del Costa Concordia davanti al porto dell'Isola del Giglio. Abbiamo visto immagini e video, ascoltato telefonate e interviste ai passeggeri. Ma non si può dire ci sia ancora chiarezza sui fatti avvenuti nell'ora intercorsa dall'urto contro gli scogli, alle 21:42, sino alla sirena che ha dato il segnale di evacuazione alle 22:34. Perché è trascorso tutto questo tempo? E soprattutto perché i testimoni raccontano episodi che delineano uno scenario incomprensibile, talvolta grottesco e di scellerata tragicità? Come si spiega che il comando della nave abbia negato a lungo di aver urtato la scogliera, sia con i passeggeri che con la Capitaneria di Porto? Come si spiega che 3.000 passeggeri siano stati invitati a rientrare nelle proprie cabine, mentre la nave imbarcava irrimediabilmente acqua? Come spiegare la decisione di calare in mare le scialuppe, quando ormai l'inclinazione delle fiancate non consentiva la discesa di alcune di esse? Il comportamento del capitano Francesco Schettino appare talmente assurdo da risultare incomprensibile. Eppure una spiegazione ci deve pur essere.
E la Procura della Repubblica di Grosseto ha il compito di fare chiarezza sulle molte lacune che ancora costellano la ricostruzione degli eventi. Che cosa è successo davvero in plancia di comando? Quali decisioni sono state prese e quali manovre messe in atto? E contemporaneamente che cosa è successo nei ponti più bassi della nave? In sala macchine, dove probabilmente per minuti interminabili si è lottato contro la spinta impetuosa del mare che penetrava inarrestabile dalle enormi falle, i macchinisti comunicavano con il comandante? Gli hanno descritto la tragicità degli squarci? E perché allora Schettino ha atteso tanto a lanciare il May Day? Al momento solo un'ipotesi, tutta da dimostrare, appare plausibile e come d'incanto fa quadrare i conti che ancora non tornano.
L'evenienza che in plancia di comando si sia anteposto l'interesse dell'armatore al dovere di protezione dei passeggeri: che qualcuno abbia pensato a evitare l'affondamento della nave, prima che a mettere in sicurezza gli ospiti della Concordia. L'ipotesi è che al comando nave, davanti alla gravità degli squarci e nel timore di un imminente affondamento, si sia tentato di portare la Concordia in una posizione di sicurezza, nei pressi dell'imboccatura del porto del Giglio, sperando di incontrare un banco di sabbia, su cui l'enorme imbarcazione avrebbe potuto adagiarsi in equilibrio sulla parte di scafo sommersa.
Questa manovra, sfruttando il movimendo inerziale della nave, non poteva essere realizzata se si fossero iniziate le operazioni di abbandono nave. Perciò si sarebbe tentato disperatamente di convincere passeggeri e autorità che non era in atto alcuna emergenza. Un calcolo che si sarebbe rivelato tragicamente sbagliato, perché proprio i minuti persi nel vano tentativo di mettere al sicuro la Concordia, avrebbero impedito poi di svolgere l'evacuazione con modalità appropriate e nelle condizioni di sicurezza adeguate.
Pregiudicando in conclusione la sopravvivenza di decine di persone. Uno scenario, che se confermato dal quadro probatorio e dalle testimonianze disponibili, potrebbe aggravare moltissimo la posizione dello staf di comando della nave, configurando persino le più estreme ipotesi di reato. I prossimi giorni saranno decisivi per restituire ai parenti delle vittime se non le speranze, almeno la verità.