A un passo dalla creazione dell’occhio artificiale? Sembra proprio che il desiderio di ogni non vedente si stia pian piano per realizzare. La speranza sta tutta in una piccola piastra, contenente una serie ordinata di sensori, da impiantare nell’occhio dei pazienti che, a causa della retinite pigmentosa, hanno perso la vista in parte o del tutto. Il progetto, portato avanti dall’Unità operativa di Chirurgia Oftalmica dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Pisa diretta dal dottor Stanislao Rizzo, in collaborazione con la Clinica Oculistica dell’Università di Firenze diretta dal professor Ugo Menchini, è stato presentato stamani nella sede dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti di Firenze alla presenza del presidente Uici Antonio Quatraro e dei professori Menchini e Rizzo. «La retinite pigmentosa – hanno spiegato i professori, - è una grave malattia degenerativa retinica, geneticamente determinata, che spesso si manifesta in soggetti giovani per poi aggravarsi progressivamente fino a portare, nei casi più gravi, addirittura alla cecità.
Purtroppo si tratta di una patologia relativamente frequente: si calcola che attualmente in Italia colpisca almeno 10mila persone». Per le quali potrebbe però esser vicino il momento di tornare, pur se in parte, a vedere. Ma quali sono i pazienti ai quali potrebbe essere applicata la piccola piastra dotata di sensori? Si tratta, rispondono i professori, di quelli che nel corso della loro vita hanno sperimentato «un periodo di appropriata funzionalità visiva» e che hanno pure mantenuto «un minimo di integrità morfologica e funzionale della retina».
Insomma, chi è nato cieco non potrà beneficiare dell’invenzione. E nemmeno chi ha perso qualsiasi funzionalità della retina. E’ infatti proprio la presenza di un «residuo funzionale» dell’occhio a costituire la base di partenza per poter sperare di migliorare la capacità visiva attraverso l’impianto intraoculare. Che, nello specifico, consiste in una «piccola piastra contenente una serie ordinata di circa 1500 fotodiodi, ovvero sensori sensibili alla luce, che una volta attivati stimolano le strutture retiniche residue determinando una sensazione visiva», spiegano Menchini e Rizzo.
L’apparecchio è prodotto dalla ditta tedesca Retina Implant Ag, sponsor dello studio, che è coordinato a livello centrale dal professor Zrenner dell’Università di Tubingen. Purtroppo, aggiungono i professori, questi impianti al momento non riescono a donare nuovamente una normale funziona visiva. Ma permettono ai pazienti di riconoscere le strutture semplici degli oggetti, come distinguere una mela da una banana, e di muoversi negli ambienti. La tecnica è stata sperimentata su una decina di non vedenti.
In particolare tre di loro, che prima erano ciechi, adesso riescono a distinguere le forme degli oggetti e a localizzare le cose bianche poste su un tavolo scuro. «L'occhio artificiale è un sogno che dura tutta la vita, e anche oltre, per chi non vede – dice Quatraro -. Ecco perché simili studi ci fanno ben sperare che prima o poi riusciremo a superare il nostro handicap. Per raggiungere un simile obiettivo, però, è necessario che si trovino risorse per la ricerca». «Per noi – prosegue il presidente Uici, - prevenzione della cecità significa anche informare correttamente e sostenere la speranza di decine di migliaia di persone, consapevoli che tale speranza è inscindibilmente legata all’impegno comune di reperire fondi per le tecnologie al servizio della persona.
Per noi far prevenzione vuol dire anche prendere sul serio la riabilitazione visiva. Per questo siamo impegnati con la Asl di Firenze e con la Regione Toscana a rinnovare la convenzione per mantenere e potenziare il nostro fiore all'occhiello: il Centro ipovisione dell'ex Iot».