Il volume edito da Laterza viene presentato giovedì 4 (ore 18:00) alla Feltrinelli Librerie di via de’ Cerretani 30r a Firenze. In un Paese di sognatori irriducibili come il nostro, il Silvio rischiava di stravincere le elezioni. Chi meglio di Enrico Brizzi poteva raccontare la vita di ogni giorno ai tempi del Silvio? Lui, che di vita quotidiana se ne intende dai tempi di Vasco a Bologna. Fra il serio e il faceto, fra aneddoti e scatti in bianco e nero, ridendo o con un ghigno melanconico, eccolo qua il nostro mefitico Paese sempre in attesa di un’altra primavera in cui rifiorirà dalla Vetta d’Italia a Capo Passero».
Enrico Brizzi ne discute con Matteo Renzi e Leonardo Sacchetti. Enrico Brizziè nato a Bologna nel 1974. Il suo primo romanzo, Jack Frusciante è uscito dal gruppo (Transeuropa 1994 e Baldini & Castoldi 1995), lo ha portato appena ventenne in cima alle classifiche di vendita e gradimento fra i ragazzi. Con i successivi Bastogne (1996) e Tre ragazzi immaginari (1998), entrambi per Baldini & Castoldi, forma una fortunata ‘trilogia della giovinezza’. Seguono Elogio di Oscar Firmian e del suo impeccabile stile (Baldini & Castoldi 1999), Razorama (Mondadori 2003) e, sempre per Mondadori, i due romanzi ‘on the road’ Nessuno lo saprà.
Viaggio a piedi dall’Argentario al Conero (2005) e Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro (2007). I suoi ultimi romanzi sono L’inattesa piega degli eventi (2008) e La nostra guerra (2010), entrambi per Baldini Castoldi Dalai. Per i nostri tipi ha pubblicato La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco (2009 4 ). «Quel che il Silvio ti mostrava non era più il presente, era il futuro al quale tutti noi eravamo destinati: non avremmo più potuto ignorarlo cambiando canale, né bastava sprangare le porte, perché sarebbe entrato nelle vite di tutti noi dal camino, come Babbo Natale e il Lupo cattivo.
Molto presto la sua idea d’Italia avrebbe riguardato tutti – tanto chi seguiva di buon grado Ambra e Pamela, quanto chi puntava i piedi alla disperata contro la civiltà del video.» « Antonio Ricci aveva dimostrato che una persona intelligente poteva ideare e allestire programmi televisivi intelligenti, oppure perfettamente sciocchi, con lo stesso identico successo. La proprietà, però, puntava più volentieri sulla seconda categoria: gli inserzionisti pubblicitari, veri finanziatori delle televisioni del Silvio, prediligevano trasmissioni generaliste e di livello artistico discutibile come Striscia la notizia e Paperissima alle sperimentazioni con Beppe Grillo in America, i gemelli Ruggeri da Croda e la più celebre pornostar italiana a fare la morale ai politici corrotti.
Agli sponsor serve visibilità, non clamore; gli inserzionisti non vogliono portare su di sé il basto d’un autore genialoide e sempre al centro delle polemiche. Preferiscono qualcosa di più soft e istituzionale e, visto che sono loro a pagare, di solito si finisce per accontentarli. Per fortuna, si diceva, che esiste anche un’altra televisione, una televisione intelligente. A lei si aggrappava strumentalmente la retorica della Fininvest: le televisioni del Silvio saranno anche state disimpegnate e un filo zuzzurellone, ma mica nessuno ti costringeva a guardarle.
(Cosa ve l’aveva, ordinato il dottore? Se non vi piacevano, bastava cambiare canale e sintonizzarsi sul Dipartimento Scuola Educazione, oppure su Protestantesimo. La verità è che le guardavate anche voi, col senso di colpa tipico dei comunisti quando sono felici. E le guardavate perché la vostra amata Rai Tre, sciatta e povera di mezzi, al di là del telegiornale faceva schifo anche a voi).» «Quando il Silvio, grande raccontatore di miracoli, si affacciò sulla scena politica nazionale, ancora si ripeteva in giro che la televisione era lo specchio della società.
Era un’interpretazione ormai inadeguata: presto la società italiana sarebbe entrata dentro quello strano specchio, tutta intera come Alice e, come lei, sarebbe partita per il viaggio più colorato e spaventoso della propria Storia. Perché ancora un attimo prima che accadesse, sembrava impossibile. Invece è successo, non una ma tre volte, che il Paese si sia affidato al Silvio, un imprenditore scafato e di successo che solo le barzellette, prima di Tangentopoli, avrebbero visto come Capo del governo.
La sua stessa ‘discesa in campo’, che le agiografie vogliono maturata nello spazio di poche settimane, ha più di un aspetto paradossale, a cominciare dalla motivazione: il Silvio dichiarò di entrare in politica per non abbandonare il centro moderato alla mercé delle Sinistre – un anelito ideale mai confessato prima in pubblico ma che appariva, all’improvviso, sentitissimo. E il 26 gennaio 1994, bello come sapeva essere bello lui a soli cinquantanove anni, il Silvio apparve sui teleschermi per formalizzare, gli occhi negli occhi degli Italiani, la propria candidatura alla testa di un nuovo movimento politico che – dettaglio non secondario in quella stagione – non avrebbe pesato per una lira sui bilanci pubblici, in quanto interamente sostenuto dalle finanze personali del leader e patron».