Zinos (Adam Bousdoukos) è un trentenne di origini greche che in un quartiere di Amburgo gestisce una taverna dall’accattivante nome “Soul Kitchen”, nella quale vengon serviti piatti surgelati che i clienti però sembrano apprezzare. Un problema alla schiena lo costringe ad assumere un nuovo chef incontrato per caso, Shayn Weiss (Birol Ünel), geniale e psicopatico amante della nouvelle cousine, che in breve tempo contribuirà a fare del locale il posto più gettonato della città.
L'arrivo del fratello di Zinos, Ilias (Moritz Bleibtreu), che ha bisogno di lavorare nel locale per poter ottenere la libertà vigilata, travolgerà i progetti e le aspirazioni di Zinos. Nulla di trascendentale dunque nella storia descritta che segue uno schema narrativo collaudatissimo, eppure, “Soul Kitchen” ha ricevuto calorose e sincere approvazioni alla 66ª Mostra d'arte cinematografica di Venezia, risultando uno dei più divertenti film del Festival. Vincitore del Premio Speciale della Giuria il film è una commedia allegra, trascinante, fluida e ritmata, in cui funziona tutto, titoli di coda compresi; una narrazione corale che scorre liberatoria e dirompente. Il pluripremiato regista Fatih Akin decide questa volta di cambiare registro e di ricorrere a un genere diverso da quello solitamente inseguito, riappropriandosi della parte più “umana” di sé, quella dell’energia appassionata de “La sposa turca” e di “Kunz und Schmerzlos”, delle sue nottate alcoliche e goliardiche vissute ad Amburgo e delle sue orge di cibo alla Taverna greca gestita dall’amico Adam Bousdoukos (qui protagonista del film) che l’ha educato a quel piacere che, come dice lo chef nel film «non può essere venduto: l’amore, il sesso e l’anima».
Il regista voleva riuscire a catturare l'atmosfera magica di quella taverna, una sorta di seconda casa aperta a tutti in cui cibo, vino e amici erano il condimento base per regalare le serate migliori della vita, gli insegnamenti più dolorosi e la follia necessaria a sopravvivere. Non a caso il titolo del film è anche il titolo di una canzone dei Doors (non inserita nella commedia perché, come lamenta Akin, «da sola costava come l’intera soundtrack») che Jim Morrison dedicò al “Soul Food Restaurant Olivia's” in cui faceva le ore piccole fino a farsi cacciare a calci: “Let me sleep all night, in your soul kitchen”…Il titolo rimanda naturalmente anche alla musica black: «tutti gli immigrati e specie i turchi si identificano con la musica black» dice il regista.
Figlio di emigranti turchi stabiliti ad Amburgo, Akin inquadra e restituisce le atmosfere del vitale incontro di culture e razze distanti che anima lo spirito di questa multietnica città in trasformazione, «una città aperta 24 ore su 24, non come Manhattan che alle 4 di mattina è già un mortorio» e l’euforia con cui lo fa è contagiosa almeno quanto il suo umorismo. In un’intervista Akin dichiara che questa «è una storia un po’ folle sul valore delle persone e dell'amicizia senza barriere.
Una storia che parla di bevute, di mangiate, di feste, di balli e di sentirsi in famiglia. Avevo voglia di realizzare un film sul concetto di casa, non come luogo definito da una nazionalità, tedesca o turca che sia, non come luogo geografico, ma come condizione esistenziale e come stato mentale. Parlo di famiglia e amici, di amore e lealtà e di come proteggerli in un mondo sempre più complicato». Nonostante si percepisca fin dall’inizio che la storia volgerà ad una conclusione positiva e consolatoria, non risulta condizionante (in quanti film invece questo basterebbe a renderli esecrabili e fastidiosi…) piuttosto è il modo in cui ci arriva ad essere di grande maestria ed abilità: senza neanche una caduta di tono, la sceneggiatura ad orologeria segue questi personaggi che lottano per tener vivi i propri sogni in modo spontaneo, leggero ed ironico, attraverso alcuni movimenti di macchina davvero straordinari.
Il film è una gioia per gli occhi, per l’orecchio (e per il palato…) perché il regista pone realmente attenzione ai corpi, al cibo, alla musica (che è il cibo dell’anima, come dice Zinos); Akin ci rivela che «le tracce che ascoltiamo nel film sono state un accompagnamento continuo anche durante la sua realizzazione: volevamo che la macchina da presa fosse musicale». Cultore da sempre di colonne sonore cool (pensate all’incredibile documentario sulla nuova musica turca “Crossing the bridge: the sound of Istanbul”) anche in questo film ci delizia con prelibatezze musicali accattivanti, che spaziano dal funky di Kool & The Gang e Quincy Jones, dalle sonorità rithm and blues di Sam Cooke e Ruth Brown, passando per il rock, l’hip-hop e la musica greca (il “rebetiko”), non trascurando l’elettronica, le canzoni popolari di Hans Albers (celebre attore/cantante tedesco degli anni '30) e il soul vocale di Louis Armstrong. Infine, ingrediente irrinunciabile e indispensabile, la bravura degli interpreti: dal cuoco filosofo Birol Ünel che cita Rimbaud e il concetto di svendere, al più noto e sempre irresistibile Moritz Bleibtreu nei panni del fratello scapestrato e sbagliato, e la carismatica cameriera dallo sguardo liquido Anna Bederke.
Su tutti, l’adorabile protagonista Adam Bousdoukos, il candore fatto persona, che interpreta un po’ se stesso e un po’ Fatih (nella parte del mal di schiena) e di cui l’amico regista dice che è l'uomo più forte che conosce: «lui è davvero in grado di sollevare il mondo e di giocarci, come Charlot» (…una curiosità: l’uscita del film in Germania, il 25 settembre 2009, era da Akin particolarmente attesa proprio per l'anniversario della morte di Charlot). Laura Iannotta