Daniele Finzi, già autore di uno studio sul campo di concentramento di Anghiari, racconta nelle pagine di “Una storia nel cuore“, edito da Nuova Toscana Editrice con il contributo del Consiglio Regionale della Toscana, la tragedia della motonave Paganini che, il 28 giugno 1940, si inabissò nelle acque albanesi provocando oltre duecento morti, molti dei quali soldati toscani.
L'affondamento della Pagnini fu il primo anello della lunga catena di sciagure che caratterizzarono la guerra del governo di Mussolini contro la Grecia.
L'improntitudine, la faciloneria, la colpevole incapacità da parte delle autorità nel condurre le operazioni militari si riscontrano anche nella situazione della Motonave Paganini al momento dell'affondamento: soldati, animali, armi e macchinari sistemati a forza in coperta, mancanza di scialuppe di salvataggio e di vie di fuga su una nave passeggeri affittata alla Tirrenia priva di scalette per far uscire i soldati non addestramenti alle operazioni di evacuazione.
La collana che ospita la ricostruzione di Finzi è quella dei Quaderni di Microstoria, una bella esperienza storiografica che da anni fa luce sul passato locale.
Questo tipo di storia è certamente minore, eppure fondamentale per ricostruire compiutamente le emozioni e l’impatto sociale degli avvenimenti. Solo il confronto che le vite vere della gente comune può darci conto, a tanti anni di distanza, della sofferenza e delle privazioni patite dagli italiani in quegli anni. E’ illuminante il capitolo in cui Finzi affronta il mistero dei grandi invalidi, sul cui destino si interrogano ancora, dopo quasi settanta anni, alcune famiglie. Sembra incredibile, ma nella confusione del periodo, e pure a causa della noncuranza dell’apparato statale nei confronti della popolazione, le informazioni circa vittime e superstiti giunsero in maniera talmente frammentaria ai familiari, da non consentire una parola certa sul loro destino.
Ed è stupefacente, altro merito del volume, quanto l’autore non possa evitare di denunciare le imbarazzanti carenze degli archivi pubblici che ancora oggi impediscono di dare una risposta definitiva alle domande insolute. Finzi documenta il suo peregrinare dall’ospedale militare all’archivio di Stato, a caccia di cartelle cliniche, o registrazioni di transito, senza quasi mai trovare collaborazione alla ricerca storica. Il deposito di Sesto Fiorentino dell’Archivio di Stato di Firenze -spiega Finzi- non è consultabile perché in pessimo stato, tanto da non consentire la consultazione dei documenti richiesti per la ricerca nemmeno ai dipendenti della struttura pubblica.
Ma allora a che serve? Non stupisce invece che in tanta confusione della memoria nazionale possano insinuarsi semplificazioni e revisionismi, che solo la lettura di qualche pagina di questo come di altri libri spazzerebbero via come cenere di una vecchia fiamma.
N. Nov.