Firenze 31/05/2007 - "Si sceglieva un ragazzetto di 7-8 anni, magro (cosa normalissima a quei tempi) e sufficientemente coraggioso o meglio incosciente. Lo si accompagnava la sera tardi all'imboccatura della tana del grosso e grasso mustelide e gli si consegnavano un lampada a petrolio, schermata con un panno, e una fiocina: una fiocina come quella usata per arpionare il pesce. Legata una fune a una caviglia, il ragazzo entrava strisciando sul ventre nella tana per qualche metro fino a trovare il tasso in attesa di uscire in pastura.
A questo punto, con l'aiuto della debole luce della lanterna, occorreva 'fiocinare' la grossa preda in modo saldo e farsi tirare fuori dall'adulto rimasto all'aperto con l'altro capo della corda in mano. Se tutto andava per il meglio, usciva il ragazzetto sano e salvo tirandosi dietro il tasso che si dibatteva disperatamente. Se invece qualche cosa andava storto, come non di rado accadeva, la preda restava in tana e attaccava a morsi l'aggressore che in tal caso usciva ferito, sanguinante e spesso con qualche dito in meno; imperituro ricordo di una caccia rischiosa e della tanta fame che ci stava dietro".
È solo uno dei tanti esempi di tecniche venatorie descritte nel nuovo libro di Paolo Casanova e Francesco Sorbetti Guerri La vita e le cacce dei contadini fra Ottocento e Novecento (pp.
200, euro 16), edito da Polistampa e dedicato alla storia della mezzadria in Toscana, Umbria, Marche ed Emilia Romagna nel periodo che va dalla fine dell'Ottocento al termine della Seconda Guerra Mondiale. Il regime mezzadrile dell'epoca, soprattutto per quanto riguarda le zone più marginali, si basava su famiglie coloniche sempre più povere e indebitate, prive di ogni autonomia e alla mercé del 'padrone': la prima conseguenza incontestabile di questa situazione era che il mezzadro doveva rivolgersi alla caccia di frodo, spinto da un sistema sociale privo di alternative.
I due autori affrontano questo tema dal punto di vista storico e scientifico (sono professori ordinari presso la Facoltà di Agraria dell'Università di Firenze), analizzando tutti gli aspetti della vita dei contadini del tempo: dai luoghi in cui vivevano all'organizzazione della casa colonica, dalla caccia ai prodotti culinari realizzati con la cacciagione. Ampio spazio è dedicato alla venagione di cui si descrivono le varie tecniche (diversificate in base all'animale cacciato, al terreno, all'ora del giorno) e gli strumenti utilizzati (reti, vischio, fucile a bacchetta), illustrando le scene con significative foto d'epoca e con disegni esemplificativi.
Per la completezza delle informazioni e per lo studio accurato che ne sta alla base, il volume sarà utile a chi desideri approfondire una parte importante della storia dell'Italia centrale (in cui sono riconoscibili tratti comuni di insediamento rurale) interessando, per la scorrevolezza del testo e le numerose curiosità raccontate, anche chi si avvicina per la prima volta a questo argomento.
"Il libro parla di caccia ― spiega Sorbetti Guerri ― ma non è solo un libro sulla caccia. L'intento è quello di illustrare ai lettori un mondo che appartiene al nostro passato, nel quale le condizioni di vita erano fortemente precarie e i contratti di mezzadria permettevano a stento la sopravvivenza di intere famiglie. Con queste testimonianze vorremmo evitare di perdere un bagaglio di tradizioni e ricordi di inestimabile valore".
Francesca Leoncini