di Stefano Mugnai Consigliere regionale Pdl Magari fosse vero che la batosta elettorale incassata dal Pdl dipende solo dal sostegno al governo Monti; se così fosse, sarebbe molto facile risollevarsi. Temo che così non sia. Certo, molti elettori che furono di centrodestra dissentono dalle scelte dell’esecutivo, ma anche l’anno scorso perdemmo e Monti non c’era. La Lega, pur avversando aspramente il governo Monti, ha pagato altrettanto duramente in termini elettorali.
E allora: forse c’è dell’altro. Il fatto è che si vince con un’idea, un disegno, un sentimento. Si vince ‘per’; rarissimo vincere ‘contro’. Limitarsi ad affermare che noi dobbiamo essere l’inevitabile asse portante di tutti coloro che sono alternativi alla sinistra significa perdere e non essere asse portante di un bel nulla. Significa sparire. Berlusconi, nel 1994, vinse regalando un’idea nuova del Paese e della politica, mentre i democristiani si rassicuravano a vicenda dicendosi: «Abbiamo ricostruito il Paese, rappresentiamo la maggioranza silenziosa, abbiamo una storia di 45 anni, siamo il partito di De Gasperi, Fanfani e Moro… non possiamo sparire così, di punto in bianco».
I socialisti, impegnati nello stesso esercizio, dicevano: «Siamo un partito con una tradizione centenaria, abbiamo superato il ventennio fascista; incarniamo valori, idee, rappresentiamo dei martiri per la democrazia, siamo il partito di Turati, Matteotti e Pertini… non possiamo sparire così, d’emblée». Sappiamo tutti come andò a finire. Sappiamo bene cosa successe a chi affrontò le elezioni del 1994 con la testa rivolta al passato organizzando il Patto per l’Italia, con Martinazzoli e Segni.
Qualcuno se lo ricorda Segni? Quello che aveva in tasca il biglietto vincente della lotteria e non riuscì mai ad incassarlo? Il Pdl, quando vinceva, lo faceva perché incarnava delle idee, non fosse altro perché era ‘per’ Berlusconi. Bastava. Poiché la figura di Berlusconi sintetizzava in sé idee, sentimenti, progetti. Oggi non basta più. Abbiamo iniziato a perdere quando non siamo più stati capaci di esprimere un progetto, nel momento in cui il ‘progetto Berlusconi’ è apparso come non più riproponibile.
E dato che negli ultimi decenni la politica ha avuto solo un protagonista, Berlusconi, che ha relegato tutti gli altri, alleati e avversari, al ruolo di comprimari, ecco che, nel momento in cui la crisi economica e gli errori delle classi dirigenti fanno sì che vi siano una diffusa stanchezza e un esteso risentimento verso la politica, è inevitabile che il primo obiettivo sia chi la politica l’ha interpretata da protagonista assoluto e, ovviamente, il suo partito. Ma l’analisi vale per tutti, anche per i comprimari, anche per coloro che a vario titolo sono catalogabili come ‘vecchia politica’: il terzo polo è fermo al palo e sarebbe felicissimo di poter sbandierare i risultati, pessimi, conseguiti dal Pdl, così come il Pd ha ben poco da festeggiare. Credo che purtroppo non abbiamo scorciatoie a disposizione: l’unico sentiero che può portare alla salvezza il Popolo della Libertà è ripartire dalle basi, dall’elaborazione di un progetto, di una proposta, dalla costruzione di un’idea nuova della politica, dei partiti, del Paese e, credo sia inevitabile, dell’Europa.
La difesa, spesso giusta, di quanto fatto in passato, oggi non basta più. Sono battaglie anche sacrosante, ma non c’è peggior battaglia di quella inutile, di quella che non interessa più a nessuno. Essere orgogliosi della propria storia non significa vivere in mezzo ai cimeli, significa far tesoro di errori e felici intuizioni, di sconfitte e successi per guardare avanti. Altrimenti l’anno prossimo ci accorgeremo che la campana sta suonando, e che suona per noi. Dobbiamo cercare di tornare in sintonia con il Paese.
Oggi certamente non lo siamo. E allora facciamoci capofila anche nelle riforme della politica: legge elettorale, finanziamento dei partiti, ma anche una legge che fissi delle regole precise che meglio definiscano natura e funzionamento dei partiti stessi, dalla democrazia interna e quindi da come si seleziona la classe dirigente, fino alla trasparenza nei bilanci. Infine un appello: basta con definire i grillini, il Movimento 5 Stelle, come l’antipolitica, i demagoghi, i populisti, gli sfascisti.
Il Pdl nasce anche dall’esperienza di Forza Italia, e dovremmo ricordarci di quando il partito azzurro veniva definito il partito di plastica, dovremmo rammentare i continui tentativi di delegittimazione subiti solo perché FI interpretava la politica in maniera innovativa. Credo che non si possa essere democratici a fasi alterne: si può dissentire su molto di quello che dice e su come lo dice Beppe Grillo, ma è evidente che il suo movimento rappresenta ormai un interlocutore politico, magari un avversario, ma c’è e fa parte della politica italiana a pieno titolo.
Non perché lo dico io, ma perché lo hanno deciso gli italiani, anche italiani che in passato hanno votato noi. Certo, ora si troveranno a fare i conti con il governo della cosa pubblica, esercizio molto più impervio della critica a tutto e tutti. In bocca al lupo. E a quegli amici del Pdl che stanno meditando di lasciare la barca dopo esserci saliti ed essersi fatti trasportare verso le mete ambite – dato che certamente ve ne sono – non faccio alcuna morale, mi limito ad invitarli a riflettere sulle varie diaspore democristiane, socialiste, repubblicane, socialdemocratiche, liberali degli anni ‘90 e sulle fortune cui sono andate incontro.
Affondiamo o ci salviamo tutti insieme.