Il progetto dei dehor con le sue nuove regole doveva essere in primis un progetto culturale per la Firenze del contemporaneo e del futuro. In questi giorni stiamo assistendo al palesarsi dei primi risultati, ovvero un progetto culturale che si ispira alla grande distribuzione, ovvero un sistema di consumo in cui tutto è uguale o simile e dove tutto deve essere riprodotto secondo dei format standard. Un progetto culturale di omologazione quindi, di “pastorizzazione” e globalizzazione.
Al momento della sua presentazione in giunta proprio io lo definii un progetto “bulgaro”, perché non da la possibilità di scegliere, perché non rispetta la città ed i suoi cittadini, la città ha necessità di una cultura del contemporaneo che sappia dialogare con la storia di Firenze e non di massificarla. In sintesi la città di Firenze, come altre città italiane che fanno parte del patrimonio dell’umanità, così come definito dall’UNESCO, ha una propria identità e una propria bellezza, una combinazione tra qualità architettonica che nei secoli si è stratificata, patrimonio artistico e morfologia del territorio.
Uno degli aspetti che caratterizza la bellezza di Firenze è il rigore, dato dalle forme, dalle proporzioni, dalla gerarchia dei segni e dai colori che la compongono. D’altro canto vie, vicoli e piazze la strutturano come un museo a cielo aperto, ogni angolo, ogni vista è diversa dalle altre e così la sua identità. L’identità è quindi anche, e soprattutto, data dalla diversità dei luoghi della città, diversità che ne determina la bellezza. Questa soluzione progettuale di dehor, tutti composti con elementi standardizzati per forma e materiali , nella volontà di “fare ordine” trasforma la città in un luogo in cui si annullano le identità, anche se i locali di Firenze sono tutti diversi per storia, tipologia, clientela e cibo.
Come può essere possibile omologarli? I dehor che sono stati allestiti in questi giorni assomigliano a delle comuni e generiche “vasche” con o senza ombrellone, identiche in tutti i luoghi della città; non si comprende quindi quali siano gli obiettivi e le necessità di creare dei recinti anonimi, trasparenti, sovradimensionati in altezza, sui quali sono stati posti orribili menù e tristi decorazioni. Perché creare questa distanza o meglio questa frattura tra chi sta seduto a degustare un caffè e chi passeggia? Perché non deve esserci alcuna differenza tra un dehor di una pasticceria storica della città e sedersi nel dehor di un ristorante contemporaneo o di un pub all’inglese? Inoltre, quale la necessità di creare portali in acciaio cor-ten se non che quella di spezzare la vista prospettica del visitatore? Questi “orpelli architettonici” non hanno nessuna funzione né strutturale né formale ma rappresentano solo un elemento di disturbo e inquinamento visivo.
Passando alle pedane, posizionate anche dove non servono, risulta incomprensibile la volontà di inserirle ovunque, una vera e propria mania, che in piazza della Repubblica raggiunge il suo apice. Qui le pedane diventano un vero e proprio piano terra rialzato. Non dobbiamo inoltre dimenticare che queste piattaforme rialzate e quindi poco accessibili andrebbero sicuramente limitate, ai soli casi di pavimentazione irregolare, in quanto luogo in cui si accumula sporcizia e sotto le quali trovano alloggio molti animali di strada, insetti e addirittura i topi. Infine, mi vorrei ancora soffermare sul tema piazza della Repubblica.
In questo grande spazio urbano i dehor appena realizzati sono veri e propri edifici con tanto di pilastri e travi sovradimensionati. Sono veri e propri manufatti edilizi chiusi su tre lati e coperti, che però pagano una tassa di occupazione del suolo pubblico identica a quella delle padane prive di copertura e non sempre utilizzabili e che quindi concorrono a premiare i soliti a scapito dei molti. Questa nuove presenze rappresentano un vero atto di distruzione nei confronti di questa piazza che, pur essendo poco fiorentina per storia e cultura, non presenta nessuna necessità di vedersi aggiungere nuovi corpi architettonici proprio di fronte ai bar storici della città, quelli della Firenze Capitale. La progettazione dei dehor poteva essere dunque utilizzata come un’occasione in cui la creatività fosse espressione del contemporaneo coniugata al sapere artigianale della città, indicando colori e materiali, con attenta limitazione delle superfici da occupare per non alterare la visione prospettica dei luoghi.
Questa operazione poteva dar vita a una nuova “era creativa” per Firenze, invece di cadere nell’equivoco di una facile riorganizzazione e di un falso ordine dato da un arredo comprato a catalogo, figlio della globalizzazione, in una città invece in cui tutto è unico e pensato solo per essa. Elisabetta Cianfanelli
Elisabetta Cianfanelli nata a Firenze, sposata con un figlio, si è laureata in Architettura con il massimo dei voti nel 1991, nel 1996 si è specializzata in Disegno Industriale. Dal 2000 è ricercatore della Facoltà di Architettura di Firenze, per la quale svolge attività didattica e di ricerca, iniziata nei settori del product e del fashion design.L’attuale attività di ricerca è orientata verso altri settori della cultura progettuale, in particolare si occupa di interaction, di brand e dello studio strategico del prodotto fatto e pensato in Italia. Ha vinto il Premio «Compasso d’Oro», partecipando con un progetto rivolto al mondo della disabilità. È autrice di svariate pubblicazioni sul design, la moda, l’innovazione, inclusione delle persone disabili. Già assessore alla Moda della Provincia di Firenze, ha firmato numerosi ed importanti progetti, tesi alla valorizzazione del territorio e delle eccellenze produttive e manifatturiere toscane e fiorentine in particolare.
Ha ricoperto il ruolo di assessore al Turismo, Moda, Pari Opportunità ed Europa del Comune di Firenze. La passione per il suo lavoro l’ha portata a trasferire le competenze universitarie maturate negli anni alla politica, diventando un vero e proprio “designer della politica”