Come altri maestri del cinema che hanno espresso il loro genio nei vari generi (John Houston, Stanley Kubrick....) Pedro Almodòvar , affronta adesso l'horror- thriller e con il tocco del grande regista ci regala una storia densa di significati. “La pelle che abito”, tratto dal romanzo francese “La tarantola”, di Thierry Jonquet, è la storia di Robert Ledgard un affermato chirurgo plastico (Antonio Banderas) che tenta di creare in laboratorio una pelle transgenica per curare sua moglie, gravemente ustionate in un incidente stradale.
Purtroppo , nonostante le sue cure nei confronti della moglie non riesce a impedirne il suicidio . Un evento che sconvolge l'equilibrio psichico della figlia che, dopo aver subito uno stupro , si uccide. Devastato da un dolore troppo grande da sopportare,Robert decide di lenire almeno in parte la sua sofferenza, sequestrando Vincente, lo stupratore , e trasformandosi in una sorta di novello Frankenstein . Lo nasconde,infatti, in casa sua con l’aiuto di Marilia, la madre-governante (M. Peredes) e si vendica trasformandolo in una donna ( Elena Anaya) e, usandolo come cavia per i suoi esperimenti.
Un piano perfetto destinato a fallire a causa dell'essenza di ogni essere umano che dentro alla pelle che abita, non può mutare col mutare della forma e dell'identità sessuale. Nel film ,che non è da annoverare tra i capolavori del maestro spagnolo, sono evidenti le citazioni e i riferimenti ai vari “Frankenstein” del cinema e alla “ Donna che visse due volte”. Se nel film di Alfred HitchcocK il protagonista voleva cambiare esteriormente una donna a immagine e somiglianza della donna amata, nel film di Almodòvar il chirurgo plastico opera addirittura la trasformazione fisica e sessuale di un uomo in una donna che deve essere uguale alla moglie perduta. “La pelle che abito “ colpisce per la drammaticità degli eventi, per l'interpretazione volutamente monocorde di Banderas che esprime la lucida follia del protagonista, e per gli interrogativi sull'invalicabilità di un 'essenza propria che è la cifra di ogni essere umano.
E la difesa dell’identità , tema dominante del film ,è chiaramente messa in evidenza nel personaggio di Vera che lotta strenuamente per conservare la propria identità, l’essenza al di là della forma. Bravi gli attori, incisiva la fotografia di J. L. Alcaine, buona la colonna sonora di Alberto Iglesias, efficace la sceneggiatura di Pedro Almodòvar. Un horror–thriller dalle tinte fosche e drammatiche in cui, tuttavia, il tocco del grande regista riesce a innalzare la trama a significati universali,e a porre inquietanti interrogativi.
“Mi interessa raccontare un processo di resistenza interiore- ha dichiarato il regista in una recente intervista- descrivere un angolo inaccessibile di umanità in cui, tra un’angheria e una negazione, si continui ad essere se stessi". di Alessandro Lazzeri