Il servizio de Le Iene di qualche giorno fa ha contribuito a gettar luce su una vicenda che in realtà desta preoccupazione già da diverso tempo... Nel 2008 Renato Semeraro, i suoi figli e Gian Mauro Borsano (già condannato per bancarotta fraudolenta) rilevano il marchio Aiazzone tramite la B&S Spa, assumendo la proprietà di 30 negozi mettendo in cantiere l'apertura di giganteschi store con oltre 3000 mq di superficie col corollario di un'imponente campagna mediatica, che rispolvera lo storico slogan degli anni '80: "Provare per credere". Per dar corpo a questo faraonico progetto la B&S Spa assieme alla Aiazzone Network di Giampiero Polenzona (fratello maggiore del presidente di Unicredit), che - forse in virtù della sua parentela - dà una copertura con le banche, rileva la boccheggiante catena Emmelunga. L'onerosa operazione però crea forti difficoltà finanziarie in seno all'azienda e la B&S Spa inizia a far sua l'abitudine di non pagare i fornitori (se non tramite cambiali o assegni poi non onorati: tutte operazioni fatte tramite Unicredit), i quali ovviamente non consegnano la merce (con notevoli disagi per i clienti, già costretti a sottostare a svariate clausole vessatorie). I fornitori continuano a non esser pagati (e stesso destino toccherà ai lavoratori, che a partire dal 2010 scendono sul piede di guerra), ma per contenere i danni Semeraro, Borsano e Polenzona cedono rami d'azienda a Panmedia di Beppe Gallo (società torinese dal capitale sociale di appena 1,5 milioni di euro che non si occupa di arredamento, bensì di comunicazione!), che di fatto non riesce a porre rimedio alla situazione: i fornitori non vengono pagati, ai lavoratori non vengono versati gli stipendi ed i clienti non ricevono la merce. I mesi passano e la situazione peggiora costantemente. Si fa avanti anche un compratore (tale Giovanni Semeraro - solo omonimo del Semeraro di B&S - interessato a rilevare sei negozi, compreso quello di Firenze), ma, poco persuaso dalla solidità del gruppo, temporeggia. La Holding dell'Arredo Spa, parte importante della società, all'inizio del 2011 dichiara fallimento e B&S propone ai fornitori un concordato fallimentare del 7,49%, che appare un tantino ridicolo (e pare infatti che ci siano serie possibilità che venga respinto). Il bilancio è spaventosamente in rosso a causa delle fortissime perdite e dei magri incassi (nel 2010 pare che ci sia stato un crollo del fatturato del 25-30%: Aiazzone vanta un saldo contabile attivo di 3 milioni di euro, ma pare che questa liquidità sia dovuta a fatture gonfiate ad arte). In questo vero e proprio macello, non potevano non esserne vittime anche i lavoratori. Anche quelli del punto vendita di Firenze, presso cui lavorano 13 dipendenti che fanno parte del gruppo Emmedue. Dal punto di vista strettamente salariale, è stato pagato loro solo il 50% della mensilità di settembre e poi da allora più nulla.
Né stipendio, né tredicesima, né quattordicesima. Su quello più strettamente occupazionale, i lavoratori del negozio di Firenze erano tra i "fortunati" a non entrare nel novero di quei 236 dipendenti destinati alla CIGS di 12+12 mesi, ma pare che adesso Aiazzone, in base all'accordo siglato il 22 febbraio a Roma al tavolo ministeriale, sia intenzionata a chiedere la CIGS di 12 mesi per tutti i dipendenti. Ma le difficoltà riscontrate a Firenze non sono solo queste. Ce ne sono anche altre! Aiazzone ha ricevuto dall'Inps il versamento degli assegni di maternità e malattia senza però erogarli ai lavoratori. Come se non bastasse il responsabile dello store mandato direttamente da Roma, per evitare di firmare i permessi ai lavoratori ha accampato la scusa di essere un dipendente di Panmedia e non di Emmedue, catena di cui il negozio fa parte (ci si chiede legittimamente che razza di "responsabile" sia se non si prende la responsabilità di firmare dei permessi). Da qualche tempo, a causa della crisi in cui versa Aiazzone, gli è stata revocata l'auto aziendale e non si è più presentato in negozio, lasciando ai dipendenti la responsabilità di badare allo store.
Ovviamente i lavoratori non si son presi una tale incombenza e, sentito il responsabile d'area, hanno chiuso il negozio (ufficialmente per inventario, di fatto come forma di protesta, dopo lo sciopero del 5 e 6 febbraio). L'unico effettivo introito per i 13 lavoratori dello store di Sesto Fiorentino, è stata l'elemosina, fatta loro di recente da parte dell'azienda, di poter stornare 300 euro a testa dall'incasso mensile di soli 9000 euro prima che un emissario di Panmedia ritirasse il denaro per far cassa.
Un po' pochino a essere sinceri...