La crisi e la difficoltà di spesa delle famiglie arresta la fase di crescita del biologico in provincia di Massa Carrara. Dopo anni di crescita verticale, il 2010 registra, come ha evidenziato lo studio della Coldiretti provinciale presentato in occasione del Bio Day a Palazzo Boudillon con gli esperti di Biocert, una battuta d’arresto. Le aziende biologiche passano infatti dalle 90 attive in Provincia del 2008 alle 81 del 2009. Erano poco meno di 40 nel 2002.
Aumentano abbastanza a sorpresa la superfici iscritte al biologico che passano dai 585 ettari del 2007 (3,20 ettari nell’area di costa) ai 675 ettari del 2009 con una crescita importante nella zona di costa che raggiunge i 15 ettari a biologico per effetto delle certificazioni di coltura viticole. In aumento anche le produzioni bio come l’apicoltura con i prodotti delle api e l’olivicoltura. Resistenze maggiori si riscontrano invece per quanto riguarda l'allevamento biologico di bovini e suini, in conseguenza anche di una scarsa consistenza media degli allevamenti e delle difficoltà più volte manifestate da Coldiretti (burocrazia in particolare).
Infine un dato anagrafico (età media 46 anni): il 62% delle imprese biologiche sono condotte da donne per effetto delle politiche di sviluppo rurale messe in atto nei Piani di Sviluppo Regionale (premio insediamento giovani unitamente ad agevolazioni per le donne). Dati che se da un lato preoccupano, dall’altro sono fisiologici in un periodo di incertezza economica dove le famiglie rinunciano, in molti casi, al bio “considerato impropriamente – si legge nell’analisi dell’agronomo dell’organizzazione, Giovanni Lagomarsini – un prodotto di lusso”.
Il convegno promosso dalla Coldiretti ha guardato infatti in una doppia direzione: “Sfatare il mito di una produzione di lusso e per pochi – ha spiegato Francesco Ciarrocchi, Direttore Provinciale Coldiretti – ma far passare il concetto di un prodotto di altissima qualità e di alto valore etico e sociale; dall’altro favorire l’inserimento di più prodotti biologici nel circuito della filiera corta, e quindi, nei mercati di Campagna Amica e nelle mense delle scuole. L’agricoltura tradizionale e biologica sono la faccia della stessa medaglia, e non due entità separate”.
Da qui, partendo proprio dall’indagine, l’esigenza di costruire un progetto specifico per le aziende biologiche del territorio – spiega Ciarrocchi - per arginare la tendenza da parte dei piccoli imprenditori che in questi ultimi anni hanno rinunciato, o rinunciano alla certificazione, cercando di assicurare il necessario supporto tecnico ed organizzativo utile per risolvere problematiche e complessità crescenti che il settore ha evidenziato”. Ed è proprio la filiera corta a rappresentare uno stimolo per le aziende: “La filiera corta – ha spiegato il Presidente Provinciale, Vincenzo Tongiani – può essere uno stimolo per il bio e per le imprese che hanno garantito un canale commerciale forte e radicato sul territorio.
E una sicurezza per chi consuma. I punti di forza del progetto hanno come principio ispiratore quello di creare un servizio dedicato (verrà presentato entro la fine dell’anno) mettendo a sistema le risorse disponibili (assistenza tecnica, formazione, divulgazione, eccetera) per sostenere le imprese certificate nella loro attività, oltre ad assicurare le informazioni necessarie a coloro che vogliono intraprendere per la prima volta il percorso bio”. Un quadro che nonostante campagne di informazione e incentivi “non è roseo – come è stato definito da docente di agronomia dell’Università di Pisa, esperto in produzioni bio, Marco Mazzoncini – le superfici sono in leggero aumento, ma di contro i produttori diminuiscono.
E’ un campanello d’allarme”. Un dato facilmente leggibile: “Le piccole aziende – spiega Lagomarsini – non sono in grado, vista la loro dimensione, a sopportare i costi e la burocrazia che il biologico richiede. Hanno difficoltà nel giustificare i maggiori costi del prodotto. C’è invece l’affermazione delle imprese più strutturate che ampliano le superfici e hanno bisogno di più spazio per aumentare la produzione”. L’analisi di Coldiretti evidenzia come sia la Lunigiana il territorio a vocazione biologica con 670 ettari e 66 operatori biologici, mentre nella zona di costa sono soltanto 15 le aziende organizzate in imprese individuali e società di vario tipo con conduzione dei terreni principalmente in proprietà.
In particolare officinali, agrumi, olivo, vite e ortaggi. In Lunigiana l’area più vocata resta storicamente Fivizzano con 23 operatori, di cui 21 produttori e 2 trasformatori con un età media intorno ai 44 anni. Frutta, in particolare alberi da frutto bio, ortaggi, olivi e viti, l’allevamento e l’apicoltura con 100 arnie di media per azienda. A livello di comuni lunigianesi a seguire troviamo Villafranca, Casola, Bagnone, Mulazzo, Comano, Tresana, Podenzana e Filattiera con 15 imprese con l’apicoltura biologica ben rappresentata – sono le aree del Miele Dop della Lunigiana - e l’allevamento di ovicaprini.
Poi Fosdinovo e Licciana Nardi con 9 aziende, Aulla con 5 dove è presente anche un’attività di trasformazione per la produzione di pasticceria e prodotti di panetteria fresca. “Il nostro obiettivo – conclude Tongiani – è ridare centralità al biologico attraverso azioni mirate all’inserimento nella filiera corta e al potenziamento della rete commerciale. Il bio è un’opportunità non solo per il consumatore, ma per tutta l’agricoltura perché rappresenta il futuro dell’italianità”. La foto è tratta dall'album di Deramko su Flickr.