Dalle tombe emergono corpi, corpi e voci. È forse il Giorno del Giudizio? No, è l'antologia di Spoon River. L'opera poetica di Edgar Lee Master ha preso vita attraverso 142 attori che, in contemporanea da quattro cimiteri monumentali toscani, hanno raccontato, anzi 'incarnato', la storia dei morti del paese di Spoon River. Il tempo è mite, ci rechiamo al Cimitero delle Porte Sante dove accanto alle tombe dei fratelli Alinari, di Spadolini e Pietro Annigoni vediamo aggirarsi Petit il poeta, il giudice Delay Lively, Dippold l'ottico, il dottor Meyers e molti altri.
Ogni personaggio ha condiviso la sua storia, l'ha condivisa con il pubblico per tutto il pomeriggio, ripetendola e ripetendola come si addice a chi sta nell'eternità. Sono defunti, sono imperituri e sono liberi di descriversi secondo assoluta verità, sia che abbiano bruciato un palazzo, assassinato qualcuno o peccato di blasfemia. Sono morti, non hanno più niente da perdere. Il rapporto che si crea tra il morto e lo spettatore è intimo, reale, quasi imbarazzante. Gli occhi azzurri della bravissima attrice Teresa Fallai, nei panni di Faith Matheny, sembrano scandagliare le nostre viscere per trovarci la paura o il coraggio dinanzi alla morte, sembrano chiedere se sappiamo qualcosa sui bagliori improvvisi dell'anima.
O ancora Jones l'indignato, interpretato da Fulvio Cauteruccio, ci punta il dito contro e ci grida il suo dissenso perché non accetta di essere stato considerato un uomo finito. Ci incolpa e inveisce contro di noi, siamo tutti colpevoli in fondo. Qualche astante se ne va via impaurito per la veemenza, magari preferisce cercare il Monni che condisce invece la sua lettura della collina con un fuoriprogramma rassicurante, una barzelletta, un aneddoto. Margherita Hack lascia un video messaggio, Carla Fracci è un'eterea, quanto rapida, apparizione, Alessandro Riccio ci stupisce con il suo sguardo da pazzo visionario e così avanti fino a che non cala il sole, fino a che i morti non iniziano a dissolversi. Ce ne andiamo via allora, ma con la speranza che non passi troppo tempo dal prossimo toccante incontro.
di Silvia Cosi, foto Sergio Lipari