E’iniziato con un minuto di silenzio, in onore dei morti della Shoah, il Consiglio regionale solenne dedicato al “Giorno della Memoria”, che oggi si è tenuto nella Sala maggiore del Palazzo Comunale di Pistoia. Prima della seduta solenne il presidente dell’assemblea toscana, Riccardo Nencini, ha inaugurato nelle sale affrescate del Comune la mostra “Grafici per la democrazia”, nove racconti di vita di grafici che aderirono alla Resistenza.
“La libertà – ha detto Nencini - è una palestra dove andare ogni giorno per non dimenticarne il significato. Non si possono perdere le testimonianze di coloro che hanno vissuto le persecuzioni”. In apertura della seduta solenne il presidente Nencini ha ricordato l’atipicità decisa dieci anni fa dal Consiglio regionale per la celebrazione del “Giorno della Memoria”, per ricordare i fatti drammatici che avvennero in Toscana, dalle leggi razziali fino alla fine della seconda guerra mondiale. “Decidemmo di ricordare la ‘damnatio memoriae’ che vi fu in Toscana.
Poi – ha continuato Nencini - si aggiunsero le riscoperte di tantissime storie individuali e collettive, piccole e grandi, di ciò che significò anche da noi la Shoa. Così, siamo andati ogni anno in una luogo diverso della regione, legato alla memoria, alla nostra storia”. “E’ necessario difendere il significato della memoria e contribuire, in qualità di istituzioni, per un impegno che non deve essere letto solo come tentativo di mantenere fedeltà alla storia, ma anche nella dimensione del fornire strumenti e forza per una cittadinanza attiva”.
Il Sindaco di Pistoia, Renzo Berti, è intervenuto con queste parole alla seduta del Consiglio solenne. “Dobbiamo compiere lo sforzo – ha proseguito Berti – di porci al di fuori di ogni possibile retorica, non riducendo la Shoa a racconto mitologico, ma, come ci ammonisce Primo Levi, a ricordare che tutto questo è realmente accaduto. Esiste infatti il rischio di un’anestesia totale, nel frastuono globale, mentre si deve far sì che la coscienza civile si rafforzi e si adoperi alla costruzione di una rinnovata identità.
Le parole ‘mai più’ sono state troppe volte contraddette da nuovi genocidi, come quelli avvenuti in Cambogia, in Ruanda, in Darfur. Evidentemente è necessario rafforzare sempre più le coscienze dei cittadini a livello locale, coltivano la memoria, che è il miglior carburante per il presente, in una società dove si affacciano fantasmi quali intolleranza e razzismo. Atteggiamenti questi ultimi, da respingere con la massima fermezza”. Molti gli spunti di riflessione offerti da questa giornata, come ha ricordato anche il presidente della Provincia di Pistoia Federica Fratoni, tra questi la “inverosimiglianza”.
“Quando si aprirono i cancelli di Auschwitz – ha detto Fratoni – venne alla luce uno scenario incredibile. Oggi viviamo, in Europa, nella certezza che questo non possa più accadere, ma questa certezza non può venire solo dalle istituzioni, ma anche dalle radici dell’anima di ogni singolo cittadino. Deve rimanere la più grande sconfitta della nostra civiltà, ed essere monito per il futuro”. E’ poi seguito l’intervento di Miuccia Gigante dell’Aned nazionale, che ha ripercorso le tappe più drammatiche e significative della vita del padre, la Medaglia d’Oro al valore militare, Vincenzo Gigante.
“La risiera di San Sabba, dove mio padre fu ucciso nell’autunno del 44 – ha detto Gigante – fu in Italia un vero e proprio campo di sterminio dove persero la vita almeno cinquemila persone. Da lì inoltre ne partirono venticinque mila deportati diretti verso i campi di concentramento tedeschi”. “Mi piace ricordare mio padre – ha aggiunto Gigante – attraverso le lettere che mi scriveva nel corso dei suoi lunghi anni di prigionia politica, esortandomi a leggere e studiare, e non passa giorno in cui io non rivolga a lui il mio pensiero”.
Infine, Renzo Bandinelli, consigliere della Comunità Ebraica fiorentina ha ringraziato la Regione Toscana per il costante impegno, negli ultimi dieci anni, a celebrare il Giorno della Memoria con molte e significative iniziative. “La nostra comunità – ha sottolineato Bandinelli – ha sempre aderito a questi eventi, anche per sottolineare il rischio, sempre in agguato, di discriminazione verso le minoranze”. Significativo è stato l’intervento di Francesca Cavarocchi, studiosa del fascismo all’università di Bologna, che ha parlato degli aiuti offerti agli ebrei nel pistoiese e in particolare degli aiuti organizzati. La Cavarocchi ha sottolineato come “numerosi e vari furono gli interventi che la popolazione ebraica ricevette in Toscana ed anche a Pistoia nel periodo più nero delle persecuzioni razziali”.
Ha evidenziato che “la rete di soccorsi, inizialmente gestita dalle stesse comunità ebraiche, fu in seguito presa in carico principalmente dalla componente cattolica” aggiungendo che diversi sacerdoti, fra cui don Roberto Angeli di Livorno che venne perfino deportato, si impegnarono direttamente nell’opera di soccorso concreto agli ebrei toscani. “Le attività a favore degli ebrei”, ha concluso la Cavarocchi, “sono una di quelle attività che portano in evidenza un tessuto sociale molto articolato e non necessariamente egoista che la dittatura fascista per anni compresse ma non annullò”. Rolando Parlanti ha invece portato la “testimonianza di un salvatore”.
La famiglia Parlanti si mise in evidenza per l’aiuto dato ai cittadini ebrei. Tutto iniziò, nel caso della famiglia Parlanti, con uno scambio: pane fresco offerto ai tedeschi in cambio di un prigioniero. Ma come lui stesso ha affermato, “ben presto ci accorgemmo che il nostro agire ci stava portando delle difficoltà”. Parlanti, a quel tempo, aveva una decina di anni. Ma il ricordo è nitido. Il suo intervento è servito ad evidenziare come il soccorso offerto dalle famiglie contadine nelle campagne toscane fu reale e come esso servì, in modo significativo, alla salvezza di molti ebrei. Emotivamente toccante è stata la testimonianza di Roberta Pisa, oggi psicologa e psicoterapeuta, che aveva neppure sette anni al momento dell’armistizio nel settembre 1943.
Pisa ha parlato di una famiglia “coinvolta molto amaramente nelle vicende delle persecuzioni”, una famiglia che “venne divisa, distrutta, umiliata”. Ha ricordato gli anni trascorsi in Val di Nievole e la necessità di fuggire “quando si sparse la voce che in zona abitavano degli ebrei ed era bene che scappassero”. Pisa ha tuttavia ricordato anche l’aiuto ricevuto nelle campagne del pistoiese da alcune famiglie che vivevano in condizioni economiche e sociali quasi disperate ma che non lesinarono l’aiuto che servì ai Pisa per arrivare vivi alla Liberazione, scampando arresti e deportazioni.
Ha concluso esortando a non dimenticare, anche se ha sottolineato che “è molto difficile far ciò, è cosa umana” e che “i miei fratelli hanno fatto forse più rimozione di me”. Il presidente della Giunta regionale, Claudio Martini, ha concluso la seduta solenne del Consiglio toscano affermando come “in Toscana il Giorno della Memoria dura 365 giorni l’anno” e che “questo è per me motivo di grande soddisfazione perché è la conferma del radicamento di un’iniziativa che è nata nel 2002 con il Treno della Memoria e che ha incontrato il favore della società regionale e delle Istituzioni”. Secondo Martini “la Toscana non ha interpretato staticamente il ruolo pubblico della memoria, ma è riuscita a farne un’occasione di riflessione sul presente e sul futuro, sulle contraddizioni e sulle speranze del nostro tempo”.
Ha sottolineato l’importanza delle testimonianze e il contributo decisivo delle scuole e delle università. Ha ricordato che “oltre cinquemila studenti toscani hanno finora visitato Auschwitz e gli altri luoghi dello sterminio accompagnati da insegnanti e da testimoni sopravvissuti a quella tragedia europea”. Ma ha ricordato anche come l’Europa, dopo due guerre mondiali e la shoah, sia riuscita ad imboccare la strada della collaborazione tra ex nemici e abbia dato vita a quell’inedita formazione sopranazionale con ambizioni di “potenza civile” che è l’Unione europea. In conclusione Martini ha citato David Grossman, Hannah Arendt ed altri uomini ed altre donne accomunate dal desiderio di non rimuovere e dalla convinzione che “la conoscenza dei fatti non può essere disgiunta dalla speranza”, motore del futuro, a cui lo scrittore francese Jean Cayrol, deportato per tre anni nel lager di Mauthausen, per dirla con Martini, “ha dedicato perfino un saggio”.