San Salvi: presentazione del libro di un collaboratore di Basaglia

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
05 maggio 2009 20:29
San Salvi: presentazione del libro di un collaboratore di Basaglia

Proprio nei giorni in cui la legge 180, a tutti nota come legge Basaglia, è tornata di attualità – ci si interroga sulla sua applicazione, sulle degenerazioni manifestatesi in alcune regioni italiane ed addirittura sulla sua validità e/o opportunità di riforma periodicamente, v. ultimo servizio televisivo di Report – arriva a San Salvi il principale collaboratore di Franco Basaglia e colui che ne ha ereditato il ruolo, dirigendo oggi il Dipartimento di Salute Mentale di Trieste: Peppe Dell’Acqua.
Ospite dei Chille de la balanza sabato 9 maggio alle ore 17.30, Dell’Acqua presenterà la nuova edizione del suo libro “Non ho l’arma che uccide il leone”, edizioni Stampa Alternativa.

Saranno presenti all’incontro Giuliano Scabia, che ha condiviso il magico momento basagliano con il progetto Marco Cavallo, l’antropologo Pietro Clemente e la sociologa Mariella Orsi.
Dell’Acqua, salernitano, classe 1947, si è laureato in medicina a Napoli e subito dopo ha avuto la fortuna di iniziare a lavorare con Franco Basaglia, nell’Ospedale Psichiatrico di Colorno a Parma. Nell’ottobre del ’71 con il gruppo di Basaglia è giunto a Trieste, partecipando in prima persona all’esperienza di trasformazione e chiusura dell’Ospedale Psichiatrico.

In 35 anni di lavoro si è dedicato alla programmazione e gestione dei Servizi di salute mentale locali svolgendo nel contempo consulenze scientifiche in Italia e all’estero. Collabora con l’Organizzazione Mondiale della Sanità alle questioni di salute mentale comunitaria e di cooperazione con Paesi in via di sviluppo. Insegna psichiatria sociale presso la Facoltà di Psicologia dell’Ateneo di Trieste. Costante il suo impegno con le famiglie di persone con disturbo mentale e le tante associazioni che vi gravitano, esperienza raccontata nel saggio “Fuori come va? Manuale per un uso ottimistico delle cure e dei servizi” (Editori Riuniti, Roma 2003).

Con la sua équipe lavora alla promozione della salute mentale nelle carceri e all’abolizione dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario. E’ tra i promotori del Forum Salute Mentale, avamposto per la tutela e l’applicazione della Legge 180 in Italia e la sua esportazione nel mondo. Ha sempre riservato uno sguardo particolare agli aspetti della comunicazione sociale e della prevenzione, promuovendo molteplici programmi sul territorio che coinvolgono giornalisti, comunicatori, operatori culturali e la comunità in generale.
Ha recentemente pubblicato una versione riveduta e aggiornata del suo libro-testimonianza “Non ho l’arma che uccide il leone.

Trent’anni dopo torna la vera storia dei protagonisti del cambiamento nella Trieste di Basaglia e nel manicomio di San Giovanni”, con una inedita, affettuosa prefazione di Basaglia e proprio questo libro sarà presentato a San Salvi. La quarta di copertina così recita: Siamo agli inizi degli anni settanta, prima a Gorizia, poi nell’ordinato e fiabesco parco sulla collina di San Giovanni, che nasconde il manicomio di Trieste. Franco Basaglia inizia a scardinare i cancelli della psichiatria, a liberare – una a una – le persone che vi sono rinchiuse, a cancellare per sempre dai corpi e dalle menti il duplice marchio del pericolo e dello “scandalo” che leggi, usanze e costumi conferivano alla follia e ai folli poveri, pericolosi e scandalosi che ricominciano a respirare, a parlare, uscire, camminare, sognare e raccontare i propri sogni, ritornando ad essere ciò che sono.

Persone, cittadini con un nome, un cognome, un indirizzo, una professione, un conto in banca, uno stato civile, un campo d’azione dove giocarsi un futuro”. Ci preme qui segnalare i motivi del proporsi oggi ad un confronto pubblico da parte di Peppe dell’Acqua. In chiusura del libro, egli annota: “Sempre più rileggendo e scrivendo, mi appariva chiaro che la mia urgenza era quella di comunicare, raccontare, offrire storie a chi oggi di queste cose si occupa. (…) Ho cominciato a pensare alla condizione di tanti giovani operatori della salute mentale oggi, giovani le cui potenzialità darebbero ulteriore e nuovo slancio a quei successi e a quelle svolte e che invece vengono mortificati e lentamente si perdono nel vuoto organizzativo e nell’ottusità burocratica.

(…) Giovani che rapidamente accettano di perdere la loro singolare possibilità di stare nelle cose, la loro singolare esperienza di vita, la loro singolare curiosità di fare. Per assumere infine, quasi senza accorgersene, i limiti e le mortificazioni che sono nei ruoli, nelle mansioni, nelle tecniche, nei poteri. Costretti a pensare di non poter far altro che accettare il mondo così com’è. Neanche immaginare di cambiarlo!”

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