Sabato 11 ottobre alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti, in una sala gremita da moltissimi giovani, artigiani, architetti arredatori e addetti ai lavori - tra cui lo stilista Maurizio Bonas, Beatrice Cifuentes per Enrico Coveri, Cecile Bosc per Balenciaga e alcune personaggi pubblici tra cui l’Onorevole Valdo Spini e la dottoressa Elettra Lorini responsabile Pari Opportunità del Comune di Firenze - si è svolto un incontro sul tema. Dopo l’introduzione della direttrice della Galleria del Costume Caterina Chiarelli, sono intervenuti il professor Giampiero Maracchi del CNR/Ibimet, la storica del Costume Roberta Orsi Landini, l’esperta di fibre naturali Silvia Re ed il responsabile economia della Regione Toscana De Angelis.
La riflessione ha preso spunto dal progetto “Tessile & Sostenibilità” - avviato dal CNR/ Ibimet Istituto di Biometerologia e FCS/Fondazione per il Clima e la Sostenibilità al fine di promuovere un prodotto creato nel rispetto del legame tra tradizione e innovazione.
Il progetto vede coinvolti in questa prima fase quattro produttori toscani: Filanda Giannini, Lanificio di Soci, Old Fashion Sartoria, Tessilarte in rappresentanza delle varie fasi di lavorazione artigianale di un prodotto tessile che va dalla raccolta della materia prima fino alla confezione del capo.
Possono i prodotti di questa micro filiera sostituire il fabbisogno di una più ampia domanda? Ovviamente solo in parte, ma la micro filiera - e la ricerca che la supporta fin dalla prima fase della lavorazione - possono indicare una strada alternativa alla globalizzazione, da sviluppare nel tempo e con dovuti finanziamenti, un’indicazione importante sugli stili di vita e una risposta alla crisi che sta immobilizzando da mesi tutto il settore.
Una maggiore attenzione alla qualità, alla unicità del prodotto che porta allo sviluppo delle risorse sul territorio con il supporto della ricerca per il miglioramento della materia grezza.
Gli studi agronomici per la valutazione del terreno e delle coltivazioni di fibre e colori naturali prima; le analisi tecniche e le accurate prove ecologiche e biologiche poi, potrebbero indicare una soluzione per puntare sulla unicità del prodotto e della sua reperibilità oltre ad una maggiore indipendenza dal mercato globale.
Ad esempio se solo si ricominciassero a utilizzare le tonnellate di lana prodotte dagli oltre 9 milioni di ovini italiani - attualmente destinate al macero - preferendo per ragioni di mercato e non solo di qualità, quelle provenienti dalla Nuova Zelanda dalla Australia e dalla Cina, si potrebbero produrre oltre 4 milioni di capi di abbigliamento. Queste lane importate percorrono oltre 13/14 mila chilometri prima di giungere alle filiere di Prato. Quelle provenienti dal territorio seguirebbero l’assunto del chilometro zero e quindi sarebbero meno inquinanti, ma soprattutto permetterebbe una maggiore promozione delle filiere locali e della creatività attraverso la personalizzazione del modello sartoriale artigianale.
Se non è dunque possibile sostituire completamente con il prodotto naturale tutto il fabbisogno della richiesta mondiale, si potrebbe puntare su questa proposta di valorizzazione dell’unicità del prodotto Made in Italy e della sua scelta in base al luogo di provenienza per creare dei mercati nuovi che rispettano l’uomo e l’ambiente che lo circonda.
Neri Torrigiani e Ester Di Leo