Il Comune di Varese presenta, in occasione dei Mondiali di ciclismo, una interessante mostra fotografica sulla bicicletta realizzata da Alinari 24Ore.
Nella bellissima cornice di Villa Mirabello “Bicicletta, un viaggio nelle immagini delle Collezioni Alinari” sarà aperta al pubblico fino al prossimo 26 Ottobre.
Quaranta le immagini selezionate dagli Archivi Alinari che illustrano quanto questo mezzo di trasporto abbia influenzato in vari modi la vita, il costume, la storia e molto spesso alcuni avvenimenti del nostro paese.
Una scelta che ha privilegiato l’immagine in quanto tale in un percorso storico che si avvale di numerosi scatti d’autore. Foto curiose, spiritose, accattivanti che fanno intravedere quanta passione le due ruote hanno suscitato nella vita presente e passata di ognuno di noi.
La bicicletta, possiamo affermarlo con certezza, fa parte della nostra storia, del nostro vissuto quotidiano. Un mezzo per tutti ed usato da tutti: per turismo, per andare al lavoro, per appuntamenti amorosi, per andare a scuola, per sport.
La fotografia e molti grandi fotografi hanno dedicato molta attenzione a questo soggetto ispirandosi spesso ed immortalando in migliaia di scatti biciclette in svariati contesti, così come accaduto nel cinema che ha addirittura raccontato la voglia di rinascita dell’Italia post-bellica con film come “Ladri di biciclette”.
La mostra è stata inaugurata sabato scorso; per informazioni e/o prenotazioni è possibile rivolgersi al personale del Museo Archeologico di Villa Mirabello (piazza della Motta n°4 a Varese) telefonando allo 0332.255485, oppure inviando una e-mail all'indirizzo di posta elettronica musei.mirabello@comune.varese.it.
Negli ultimi anni del Settecento - quando la Francia ha smaltito la sbornia della Rivoluzione e un generale di origini italiane, Napoleone Bonaparte, vince a man bassa le sue campagne militari – a Parigi un eccentrico nobile, Mede de’ Sivrac, presenta in un parco la sua bizzarra invenzione: il velocifero.
Due ruote di carrozza collegate da una trave (la leggenda vuole che siano di legno di rosa) e un pezzo di cuoio per una rudimentale sella. Il velocifero è pesante, è senza manubrio, non ha pedali e freni. Si deve spingere con i piedi, richiede grandi muscoli. Le strade sconnesse non aiutano, ma il successo è immediato. Parigi si innamora di questo moderno mezzo, il mondo occidentale anche.
Devono passare una ventina di anni prima che arrivi lo sterzo (con la draisina), altri 30 anni per vedere i primi pedali e alcuni decenni ancora per avere la catena, i freni e gli pneumatici.
Ma nonostante i
lunghi anni di perfezionamento - un’innovazione che continua ancora oggi - le “due ruote” hanno conquistato il cuore e le gambe di milioni di europei, americani e asiatici.
Il boom, il vero e proprio boom, arriva negli ultimi decenni dell’Ottocento.
Con la bicicletta i benestanti hanno fatto turismo - i fondatori del Touring Club giravano l’Italia per segnare le strade e segnalare monumenti e alberghetti – gli operai hanno macinato milioni di chilometri tra casa e fabbrica, gli innamorati si sono dati appuntamenti nelle campagne o nei giardini pubblici, gli studenti hanno fatto gare e tristi pedalate a scuola, i bersaglieri hanno attrezzato le biciclette Bianchi per accelerare le loro corse e i fotografi della scuderia Alinari hanno immortalato migliaia di biciclette in foto d’autore.
Mentre il cinema ha raccontato la voglia di rinascita dell’Italia post-bellica con film come “Ladri di biciclette”.
La bicicletta è fatta di storie imprenditoriali partite dal 'basso', come il meccanico con meno di 20 anni, Ernesto Michaux, che ha inventato i pedali, o il veterinario scozzese John Dunlop che ha applicato la prima tela di gomma al triciclo del figlio. O i nostri Edoardo Bianchi, geniale costruttore, o Giovan Battista Pirelli, grande innovatore nel settore dei pneumatici.
E straordinarie erano le prime pubblicità di quello che allora era il mezzo più moderno e veloce - inserzioni eleganti e, al tempo stesso così ingenue da farci pensare a una società molto più semplice di quella attuale. Più romantica.
La bicicletta è stata data per morta con l’avvento delle moto, ma ha resistito. Le auto, con la motorizzazione di massa degli anni 60, sembravano averle assestato un colpo definitivo, ma le “due ruote”, dopo una pausa di riflessione, hanno ritrovato nuovo slancio.
E nuovi spazi, tant’è che oggi Parigi le sta usando con successo nella infinita guerra al traffico. Le hanno chiamate Velib’, che suona meglio di bici in affitto, e ancora una volta Parigi ha fatto scuola. È la rivincita delle due ruote contro gli inquinanti station wagon e gli ingombranti Suv.
È la rivincita dell’uomo contro cilindri e benzina. Perché la bicicletta non viene vissuta come una macchina meccanica, fatta con telaio di carbonio, ruote lenticolari, cambi giapponesi e selle Made in Italy, ma il naturale prolungamento delle nostre gambe e della nostra memoria.
La bici è ricca di ricordi della nostra giovinezza e delle foto ingiallite dei nonni.
La bicicletta fa parte della nostra storia, del nostro vissuto quotidiano. Ci fa sognare, anche se è aggressiva come sanno esserlo le mountain bike. Perché in bicicletta ci siamo innamorati e in bicicletta abbiamo fatto corse con amici sognando Girardengo, Gimondi o quel Pantani che sulle montagne butta via la bandana, lancia un urlo e va a vincere il Tour. E, tutti, avremmo voluto essere lì quando Coppi e Bartali si passarono la borraccia, per chiarire una volta per tutte se è stato Fausto a passare l’acqua (come sostiene metà degli italiani) o sia stato Gino a fare il gran gesto (come giurano gli altri italiani).
Passioni senza tempo, forti.
Passioni così si trovano solo sulle due ruote e che nemmeno la vergogna del doping riesce a spegnere. (Testo di Nino Ciravegna)