Mai come quest’anno a Pasqua ho fatto il ‘pieno’ di carciofi.
In Toscana i carciofi sono apparsi intorno al XV secolo. E l’olio d’oliva, verde e pizzichino, ne ha sempre esaltato il sapore, rendendo il carciofo "in pinzimonio" un cibo di grande pregio.
Le due qualità principali di carciofi autoctoni sono i saporiti "violetti" e le grandi "mamme" empolesi con cui si compongono svariati piatti della nostra cucina.
La massima produzione di carciofi è da novembre a giugno. Il carciofo deve essere fresco, quindi bisogna scegliere quelli pieni, sodi, con foglie dure e ben serrate.
I carciofi si conservano bene in frigorifero per un paio di giorni. Anche se il modo migliore per conservarli è immergerli in un vaso con dell'acqua, proprio come se si trattasse di un mazzo di fiori.
Per cucinarli è necessario tagliare il gambo fino a circa 4 cm dalla base. Scoprite la parte più chiara del carciofo eliminando le foglie più dure, tagliate di netto la punta per eliminare le spine e raschiate la base del gambo con un coltellino per eliminare i filamenti. A seconda del tipo di carciofo, a volte bisogna eliminare la ‘barba’ nel cuore dell’ortaggio, aprendolo a metà e scavando alla base del gambo molto delicatamente.
Via via che i carciofi vengono puliti, conviene immergerli in acqua e limone per evitare che anneriscano.
La ricetta più semplice che mi viene in mente sono i ‘carciofi ritti’ e lascio che sia l’Artusi a spiegarne lo svolgimento: “Così chiamansi a Firenze i carciofi cucinati semplicemente nella seguente maniera: levate loro soltanto le piccole e inutili foglie vicine al gambo tagliando quest'ultimo. Svettate col coltello la cima e allargate alquanto le foglie interne. Collocateli ritti in un tegame, insieme coi gambi sbucciati e interi; conditeli con sale, pepe e olio, il tutto a buona misura.
Fateli soffriggere tenendoli coperti, e, quando saranno ben rosolati, versate nel tegame un po' d'acqua e con la medesima finite di cuocerli.”.
Vanessa Bof