La dote personale più importante in affari è, come sempre, il buon senso.
A parte il buon senso, la dote principale in affari (e nel lavoro in genere) è il senso dell’umorismo, la capacità di sorridere di se stessi o della situazione in cui ci si trova, in altre parole riuscire a “divertirsi” comunque.
Una bella risata dissolve le tensioni interiori, e risolve quelle esterne.
Il senso dell’umorismo crea impressioni favorevoli e durature: un solo commento oggettivo ed autoironico fa immediatamente capire agli altri che non ci prendiamo troppo sul serio, e questa è una di quelle cose che la gente ricorda.
Non potendo ballare o cantare all’inizio di una riunione (ballando e cantando insieme la gente si unisce), sorridere e far sorridere creerà un’atmosfera giusta per tutto quello che ne potrà seguire.
Infine l’umorismo è ciò che ci permette di vedere le cose con distacco; insieme con i profitti, il distacco è la cosa più facile da perdere negli affari.
A questo punto entra in gioco la domanda: ma sorridere anche nei momenti più delicati può anche essere solo una posa, in altre parole potremmo cadere in una sorta di pericoloso autoinganno, suonando stonati agli altri?
Chiariamo subito: c’è una gran differenza tra recitare una parte ed essere fuori ruolo – c’è un momento in cui far scena, ed un momento in cui essere se stessi.
Qui tornano in gioco il buon senso e la capacità di avere il polso della situazione.
Gli affari sono spesso una commedia, ma se ogni volta ci presenteremo inalberando il gran pavese e tutti i pappafichi, rischieremo di mostrarci come dei pavoni, ma di essere considerati dei tacchini.
Tra i classici esempi di peggior nemico di se stesso c’è l’ignorare la differenza tra onestà e tatto; c’è chi si rifà ad un’antica affermazione “chi sa fingere, sa regnare” e quindi afferma che, a volte, la miglior politica in affari, è mentire.
Credo che sia più appropriato dire che a volte l’onestà può essere mitigata, cercando di esprimere anche la più cruda delle verità in modi non offensivi e controproducenti.
Altro classico esempio è rappresentato dall’ansia di piacere, che ci rende “assecondatori patologici”; quando ciò succede gli altri sono portati a concludere che manchiamo di autorità, e diamo, quindi, un’impressione di debolezza … saremo probabilmente catalogati, nella migliore delle ipotesi, come “yes men”.
Gestire ansie ed emozioni ci aiuterà ad agire, piuttosto che a reagire.
Nel lavoro non possiamo permetterci il lusso di fare una cosa alla volta e capita spesso che le emozioni delle diverse attività si infiltrino l’una nell’altra.
Se c’è appena sfuggito un grosso affare, è facile mostrare il nostro disappunto, anche solo attraverso un viso imbronciato, alla persona che incontreremo successivamente.
Se siamo occupati e strapresi dal lavoro, può essere difficile controllare la propria irritazione se dobbiamo rispondere ad una telefonata oziosa, o partecipare a una riunione che riteniamo inutile.
Meglio prendere di rado le telefonate, ma restituirle sempre: chiamare quando possiamo concentrarci sull’interlocutore è un “lusso” che dobbiamo concederci, anziché rispondere distrattamente quando siamo interrotti e non ascoltiamo perché stiamo pensando a quello che stavamo facendo prima di aver alzato il ricevitore.
Fissarsi qualche paletto significa porre in essere una certa distanza emozionale tra noi e ogni situazione.
Questo ci aiuta e ci fa fare bella figura: le persone sicure ed efficienti piacciono di più di quelle insicure ed inefficienti, e la differenza è direttamente proporzionale alla nostra capacità di saper presidiare le nostre ansie e le nostre emozioni.
Oliviero Castellani
giovedì, 21 novembre 2024 - 22:51