La morte di Pal, causata dalle basse temperature del meteo, dal gelo dell’indifferenza e seguita poi dal freddo insopportabile delle solite strumentalizzazioni ha scosso Firenze ed ha costretto tutti ad interrogarsi sul grande problema sociale dei senza fissa dimora che oramai, per dimensioni e caratteristiche, non possiamo più affrontare in modo occasionale e residuale nel complessivo impegno verso la fasce deboli della nostra comunità.
Per i tanti in cerca di riparo che girano in città con i loro fagotti più o meno curati, con in mano l’immancabile bottiglia e la cicca sempre accesa, resta ormai un problema anche trovare posto sotto il “classico” ponte, sotto i portici delle Chiese o delle piazze cittadine.
Le stazioni ferroviarie, i sottopassi: i luoghi storici e tradizionali del riposo di chi spesso non ha niente da chiedere, perché non ha più nulla da perdere, sono talvolta così pieni e pericolosi - anche per chi è abituato a tutto - da non essere più considerati come ripari da preferire. La dilatazione delle generazioni tra il popolo della strada, l’aumento impressionante della presenza femminile, dei giovani e di interi nuclei familiari di cittadini immigrati, il crescente numero di “insospettabili”, soprattutto italiani, deve interrogarci con urgenza e deve trovarci tutti capaci di ripensare il nostro vivere sociale, il nostro porci di fronte alle ragioni dell’accoglienza.
Non possiamo pensare che ciò che è possibile fare venga già fatto, grazie al servizio svolto dai soliti encomiabili volontari delle diverse associazioni che portano cibo e coperte a chi vive per la strada. Nessuno può dire di avere la coscienza a posto di fronte a questa realtà che conosciamo e che incontriamo quotidianamente lungo gli abituali percorsi nella nostra città.
Le basse temperature passano, il freddo e il gelo di questa società indifferente ed ingiusta rischiano di restare e di diffondersi, rendendo sempre più difficile ed improbo l’impegno per l’inclusione sociale e per l’attenzione ai più deboli.
Viviamo in una città che storicamente ha saputo dimostrarsi attenta ai suoi figli più fragili e l’ha saputo fare coinvolgendo tutte le anime sensibili e sane che la componevano e che la compongono. Questo grande patrimonio culturale deve essere un punto di riferimento nell’impegno di tutti i soggetti sociali in quest’oggi, fatto sì di complessità e frammentazione, ma ricco di innumerevoli energie e risorse.
Oltre le più o meno comprensibili contrapposizioni ed esternazioni “da palazzo”, dobbiamo aprire gli occhi innanzitutto sulla strada e starvi con l’atteggiamento di chi vuole ripartire da lì, dal basso, e camminare a fianco di quanti vi hanno il proprio domicilio, le loro sofferenze e le loro speranze.
Diverse parrocchie, associazioni, gruppi di volontariato in tutta la città sono mobilitati a si adoperano per rendere meno drammatica l’esistenza di tanti fratelli senza tetto.
Caritas collabora con il Comune di Firenze per la gestione convenzionata dell’accoglienza invernale che l’Amministrazione ha da anni attivato insieme con diversi soggetti del volontariato sociale. In città tanti sono i punti di riferimento socio-assistenziale. Dobbiamo però avere il coraggio e la capacità di ripensare complessivamente quantità e modalità degli interventi giustamente coordinati.
Equità e tutela verso i fratelli meno fortunati si ottengono solo con azioni di programmazione e di politica attenta alle ragioni di una comunità fortemente motivata sui valori della solidarietà e giustizia sociale.
Quel cartoncino “Caritas”, che è stato l’ultimo compagno nel cammino verso la morte del nostro fratello indiano, Pal Surinder, è un motivo in più di sofferenza per non essere riusciti a fare abbastanza per lui, ma anche uno stimolo a spenderci in modo ancora più efficace per i tanti che ancora sono lì, per strada, e ci restano sempre, freddo o caldo che sia.
E’ vero che talvolta alcuni rifiutano anche di essere aiutati, ma forse anche nel rispetto della libertà di ciascuno ci sono strade e opportunità che si possono percorrere per far ripartire positivamente una vita.
ALESSANDRO MARTINI