Quando a casa prepariamo la ribollita, si scatenano infiniti dibattiti su cosa ci metteva la zia Fausta o cosa ci mette la nonna Marta per darle quel sapore indimenticabile, che solo chi ha fatto l’esperienza della “memoria involontaria” di cui parlava Proust nella Recherche, può capire. Il cavolo nero pare sia l’ingrediente segreto. Il famigerato cavolo nero riccio di Toscana si trova solo nella nostra terra. Se si va al mercato di Rialto a Venezia, per esempio, e si chiede del cavolo nero, subito ti offrono il cavolo verza.
L’origine del cavolo nero è molto dibattuta; ogni provincia toscana ne reclama la paternità. Cerchiamo di capire con chi abbiamo a che fare: il cavolo nero fiorentino (ecotipo) appartiene alla famiglia delle crocifere, genere brassica, specie brassica oleracea var. viridis; zona di riproduzione: l’intera regione Toscana. Cito dalla scheda dell’ARSIA (agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione nel settore agricolo-forestale): “Questa varietà, un tempo molto diffusa in Toscana, si è spesso ibridata con altre cultivar di cavolo cosicchè le varietà attualmente in commercio differiscono alquanto da questo ecotipo tipico dell'area fiorentina.
La caratteristica di tipicità è data dalla foglia lunga e stretta, estremamente bollosa di colore verde scuro con riflessi bluastri. La pianta di discrete dimensioni, ha un portamento cespuglioso. Resiste bene al freddo ed è molto produttiva.”
Adesso che l’identikit dell’ingrediente segreto pare sia stato tracciato, direi di passare agli altri ‘banali’ componenti della nostra ribollita: i fagioli. Altro argomento spinoso: borlotti o cannellini? Freschi o secchi? Allora, nella mia famiglia si usano i borlotti secchi o freschi, a seconda della disponibilità.
Ma altre scuole di pensiero indicano i cannellini come i veri protagonisti della ricetta originale, i quali dovranno essere cotti e per metà passati, così da costituire la base della zuppa.
La sostituzione o l’aggiunta di uno o più ingredienti dà luogo anche ad un cambio significativo di denominazione da ribollita a minestra di pane. Se per esempio mancano il pepolino e il cavolo nero sicuramente ci troviamo di fronte ad una minestra di pane. Per chiamarsi davvero ribollita deve contenere obbligatoriamente i fagioli e due tipi di cavolo, il cavolo verza ed il cavolo nero e il pepolino appunto.
Un tempo le contadine ne cucinavano una gran quantità, soprattutto il venerdì, giorno in cui si mangiava di magro, e quindi la zuppa veniva "ribollita" nei giorni successivi.
Essendo un piatto povero, si utilizzavano le verdure che erano disponibili al momento o che erano avanzate durante la settimana. È per questo che nelle ricette troviamo patate, sedano, carote, zucchine, bietola, pomodori. Un altro fondamentale componente è il pane, che ricordiamo è senza sale. Il pane però dovrebbe essere cotto a legna e non di quei pani che appena sentano l’umido diventano “ciabatte”. La ribollita è un piatto di carattere e si merita di essere cucinata con le cose giuste.
Il mio intento non è dare la ricetta di questo piatto, ma solo di soffermarmi sulla ricchezza di tradizione contenuta dalla nostra ribollita. Dentro c’è la storia e la cultura di noi fiorentini, di noi toscani. C’è il lavoro delle braccia contadine; c’è l’esperienza di chi ha avuto a che fare con la miseria, ma l’ha voluta affrontare sempre con dignità; c’è l’amore per i prodotti di casa, che hanno un loro sapore e che non sono uguali a niente. Non dimenticate mai di servire questo piatto con un giro d’olio, che sembra una quisquiglia, ma che invece è il punto perfetto per finire un’opera memorabile.
di Vanessa Bof