TAV: per la Toscana una prospettiva delirante

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
22 ottobre 2007 17:47
TAV: per la Toscana una prospettiva delirante

di Girolamo Dell’Olio
Allarma sul piano culturale, prima ancora che su quello politico, il paradigma di crescita che Claudio Martini propone per la Toscana tutte le volte che un appuntamento con la chimera TAV gliene offre il destro. Il 15 ottobre, a Santa Maria Novella, sono tornate a squillare a Firenze le trombe dell’Alta Velocità dopo un lungo intervallo di silenzi imbarazzati: e siamo daccapo ai proclami di un futuro radioso imminente punteggiato da nuove scadenze improbabili (fine dei lavori nel 2013, dopo che date assai più ottimistiche si sono succedute via via nel tempo), che fanno comunque a pugni con lo squallore concreto e consolidato del sistema di trasporto pubblico presente.

Le cronache degli ultimi quindici anni marca TAV, del resto, sono costellate di annunci smentiti dai fatti e promesse di sviluppo amaramente contraddette dai danni irreversibili arrecati dalle cantierizzazioni all’economia e al territorio. E anche là dove le ruspe e i camion AV non sono entrati in azione, come a Firenze, è forse il caso di ricordare le tante false partenze e attese tradite: dal fiasco della stazione-squalo subacquea dei Macelli firmata Bruno Zevi (proposta nel ’99 nonostante l’evidenza dei vincoli architettonici, e sostituita solo quattro anni e mezzo dopo da un nuovo progetto, altrettanto faraonico) alla vicenda infinita della storica stazione-fantasma Leopolda (dove cresce rigogliosa l’erba sui binari dismessi da decenni); dall’evidenza di un servizio pendolari che arranca per quantità, decenza e affidabilità, alla leggenda ormai sfatata del sottoattraversamento ciclopico come unica ricetta che renderebbe possibile il servizio ferroviario metropolitano (quello che manca, è ormai chiaro, non è l’ennesimo tunnel, ma una politica ferroviaria che stanzi materiale rotabile, tecnologie, personale, e sappia riorganizzare le potenzialità di rete in superficie)!
Ebbene, nonostante tutto questo, ancora una volta si reclamizza il vetusto e consunto teorema TAV (nei nuovi panni RFI), suicida sul piano economico a partire dall’architettura finanziaria imperniata sul general contractor.

Ma c’è di peggio. Ed è il percorso culturale al quale i responsabili della cosa pubblica vantano di ispirarsi. Siamo nel terzo millennio ma a Palazzo Bastogi continua a vigere l’assioma ottocentesco dello “sviluppo illimitato”, delle risorse inesauribili, della crescita lineare. Lo si declina nella peggiore delle modalità anni-Cinquanta: prospettando per il Bel Paese il ruolo subalterno che già un’altra classe dirigente ci ritagliò per costruire, allora, il “miracolo economico” e il parallelo smantellamento delle risorse ambientali e territoriali che i manuali di storia oggi stigmatizzano.

Allora la scelta “strategica” fu quella di abbandonare le risorse endogene che fanno ricca l’Italia (l’agricoltura, il territorio, il paesaggio, i beni culturali e ambientali) per dare in pasto braccia, cervelli e denari pubblici a un modello di sviluppo in gran parte subalterno ed energivoro, di cortissimo respiro e ad altissimo impatto, quello legato alla siderurgia e alla petrolchimica, alla speculazione edilizia, alla motorizzazione di massa, alla proliferazione delle infrastrutture a suo servizio.

E’ proprio lì che trova le sue radici, non dimentichiamolo, l’attuale arretratezza in fatto di treni e tranvie, con linee dismesse o smantellate. Ora, dopo Barry Commoner, il Club di Roma e Porto Marghera, qualcuno propone quelle che a noi appaiono davvero novelle sciocchezze da manuale. L’assessore regionale al Territorio e alle infrastrutture Riccardo Conti (per il quale il sottoattraversamento Alta Velocità della città patrimonio UNESCO è addirittura “la priorità delle priorità” e “la madre di tutte le nostre battaglie”) sogna fra Pisa, Livorno e Guasticce flussi di merci abbastanza imponenti da farne “la Rotterdam del Mediterraneo”.

Claudio Martini non fa mistero di programmare per la sua Toscana un ruolo di prima grandezza nell’ambito dello sciagurato disegno di un’Italia trasformata in “piattaforma logistica mediterranea”: “Le merci che arrivano dall’Estremo Oriente – ha dichiarato testualmente il 15 ottobre - possono utilizzare più economicamente l’Italia.

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