Sarà la sua carica, la sua presenza scenica, la sua voce, il suo carisma, la sua corporalità che trasformano ogni suo spettacolo in una vera e propria esperienza di vita.
“Racconti di Giugno” di Pippo Delbono non è soltanto uno spettacolo in quanto tale, ma un vero e proprio organismo pulsante, dotato di una forza attiva inaspettata, che penetra profondamente nell’animo di ogni spettatore.
Frammenti di vita, vita vera, vita vissuta, vita sofferta, sono protagonisti dello show, un’autobiografia dell’artista, che in un’ora di performance ci trasporta all’interno del suo mondo.
Loano, piccolo paesino ligure dove è nato, la sua famiglia "cattolicissima" che lo avvicina alla chiesa fin da piccolo, la sua prima esperienza teatrale nella parte di Gesù, le carezze non troppo innocenti del chierichetto e del prete.
E ancora il suo migliore amico conosciuto ai boyscout, i viaggi in moto, il loro legame che presto si trasformerà in un amore segnato da alcool, droga e violenza interrotto troppo presto dalla morte del compagno.
L’esperienza del teatro, unica ancora di salvezza, alla quale si aggrapperà con tutte le forze, e si dedicherà completamente anche e soprattutto dopo la scoperta di aver contratto una malattia incurabile.
Ma non basta: la ricerca di una cura inesistente, la depressione, la perdita della speranza di vivere, nonché del proprio equilibrio mentale.
L’incontro in un manicomio con Bobò: un piccolo uomo microcefalo e sordo muto, che Pippo deciderà di rapire, di strappare da quella prigione.
E finalmente vedere il mondo di nuovo ma questa volta attraverso gli occhi di Bobò.
Pippo Delbono non fa un teatro facile, nelle sue pièce tratta temi difficili, a volte scomodi che nella società di oggi si preferisce evitare.
Un regista degli esclusi che sta dalla parte degli sfortunati, degli emarginati, di coloro che per la nostra società sono diversi e che, attraverso il suo lavoro, trovano finalmente voce sul palco.
Carlotta Ghelardi