Un’assemblea giovedì 30 novembre a Firenze organizzata dal progetto “x la Sinistra dell’Unione” con una sessantina di presenze qualificate per il loro radicamento nelle realtà attive sul territorio e nelle istituzioni: l’Associazione Rete Nuovo Municipio, i Comitati della Piana contro l’inceneritore, il Giardino dei Ciliegi, la Libera Università Ipazia, Unaltracittà/Unaltromondo, Comitato per la Difesa della Costituzione, consiglieri regionali e comunali dei Comunisti Italiani, Rifondazione, Verdi, esponenti di associazioni e giuristi: una ricchezza che ha dato i suoi frutti, rispondendo all’obbiettivo di un vero approfondimento seminariale del tema della “Legge sulla partecipazione dal Town Meeting al Consiglio Regionale”.
Paul Ginsborg (La Toscana e la cultura della partecipazione) esordisce con una riflessione storica che prende spunto dall’interessante mostra “Le radici della partecipazione, Firenze e il suo territorio, dai comitati ai consigli di quartiere: 1966-1976”.
Una lunga storia di partecipazione dal basso e di movimenti di cui però lo storico contesta un’interpretazione un po’ troppo rassicurante di “fiume carsico”. Occorre coglierne e ammetterne il fallimento: all’inizio degli anni Ottanta c’è stata una cesura profonda, che ha portato poi a un silenzio durato vent’anni. I grandi movimenti di allora nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole hanno visto una risposta di irrigidimento e di rifiuto da parte dei partiti e delle istituzioni.
La Toscana è ricchissima di associazionismo ma quando si passa dal piano sociale a quello più direttamente politico che investe la sfera del potere decisionale, la reazione è di forte diffidenza, di rifiuto, per cui si contrappone un muro e “la montagna partorisce il topolino”. Dal più grande movimento partecipativo avutosi in Italia, ed anche in Toscana, negli anni Sessanta e Settanta si è così arrivati alla trasformazione dei partiti in centri di amministrazione del potere e al distacco dei ceti popolari dalla politica attiva.
Alla fine del secolo è risorta una viva partecipazione dei ceti medi istruiti, in estrema reazione di difesa dal disastro berlusconiano ma anche alla ricerca di nuove forme di democrazia e nuova cultura. Ma che cosa allora imparare dagli anni Settanta per non ripercorrere la stessa strada di sconfitta? Come ricostituire un’alleanza di classe? Come connettere i ceti medi riflessivi, certo essenziali ma non sufficienti, ai ceti più popolari? Due gli obbiettivi che Paul individua per il nostro agire politicamente come Sinistra dell’Unione: il primo di creare cittadini attivi e istruiti, che attraverso meccanismi partecipativi diventino soggetti del processo decisionale, il secondo di cambiare la cultura della classe politica.
La nuova stagione che in questi ultimi anni si è aperta, coi suoi alti e bassi, ci mostra oggi almeno tre segnali positivi: il nuovo metodo partecipativo imboccato dalla Regione Toscana per arrivare alla legge, la ricchezza originale del contributo della Rete Nuovo Municipio, la nascita stessa del nostro progetto “x la Sinistra dell’Unione”, che proprio su questo terreno della partecipazione può crescere per una vera trasformazione della politica. In negativo bisogna essere però consapevoli delle resistenze e delle diffidenze che si sono manifestate anche durante il Town Meeting, soprattutto nelle sue conclusioni.
Infatti quella proposta di eleggere un “consiglio dei partecipanti” formato da una persona per ciascuno dei cinquanta tavoli è stata annacquata da una votazione non su due ma su tre opzioni, e la confusione che ne è derivata ha indebolito la volontà di dare continuità all’esperienza di partecipazione alla formulazione della legge, in realtà sostenuta dal 95% dei presenti.
Proprio alle “Luci e ombre del percorso regionale” ha dedicato la sua relazione Sara Nocentini (Comitato di San Niccolò): come dare effettiva continuità al Town Meeting superandone anche i limiti? Come rompere la separatezza che tende subito a riproporsi fra il coinvolgimento attivo dei cittadini e le stanze del palazzo: adesso che cosa succede? Sullo svolgimento dell’evento di Carrara Sara rileva un divario non colmato fra l’eccessiva complessità delle domande poste dalla Guida e la povertà rigida dell’unica risposta che era possibile dare nelle votazioni.
Questo ha portato ad un alto numero di astensioni specie sui quesiti più articolati e delicati: i dati sulle astensioni non sono stati elencati nel report conclusivo, ma sono stati rilevati nel numero dei non votanti: sarebbe utile averli e considerarli. Nostro compito è stimolare il dibattito, in questa fase che più concretamente punterà all’elaborazione della legge: la definitezza delle procedure e dei tempi, così essenziale a una vera partecipazione, chiediamola alla Regione fin da ora per attuare questo percorso, intervenendo sia sul sito dedicato, sia contattando i nominati dei tavoli, inventando altre occasioni di confronto e chiedendole alla Regione.
Chiara Cudia (ricercatrice universitaria di Diritto amministrativo, Associazione Rete Nuovo Municipio) delinea che cosa potrà fare una legge regionale sulla partecipazione.
Essa va innanzitutto collocata nell’ambito della gerarchia delle fonti e in quello dell’ordinamento stabilito dal Titolo V della Costituzione. Sul piano del procedimento legislativo lo Statuto regionale definisce i principi generali della partecipazione (art.3) e ne indica le modalità generali di attuazione (Tit. VIII, art. 72-78), ma una specifica legge quadro sulla partecipazione potrebbe comportare anche una revisione dello Statuto. Sul piano amministrativo una legge sulla partecipazione può agire soltanto sulle funzioni dirette della Regione e su quelle conferite da essa ai Comuni.
Il rispetto dell’autonomia amministrativa richiede inoltre modalità premiali e non coattive o sanzionatorie.
La Giunta e il Consiglio regionale possono dunque elaborare una legge precettiva, che chiarisca quattro punti: a quali atti regionali si applica la partecipazione, quali sono i soggetti che possono partecipare, quali i termini del procedimento, quali le forme della partecipazione. L’Associazione Rete Nuovo Municipio ha elaborato un suo contributo per la stesura delle legge, che in forma di pre-articolato ha già consegnato all’Assessore Fragai.
Si apre quindi il dibattito con un attento occhio ai tempi dei cinque minuti a testa da parte della presidenza dell’assemblea (retta dalla scrivente e da Sara).
Ubaldo Ceccoli (Ipazia) si chiede: una legge per partecipare a che cosa? Come partecipare ad esempio al processo urbanistico? E’ forte il rischio di rimanere esclusi dai processi di trasformazione che vengono sempre più governati dalle scelte e dai bisogni dei centri di potere economico cui gli esecutivi sono di fatto subalterni, anche nella diminuzione dei poteri consiliari avvenuta in questo decennio. Si rischia allora di giocare su un tavolo falsato in partenza. Moreno Biagioni (Consulta immigrazione ANCI) si ricollega alla storia dei movimenti aggiungendo che dopo la crisi degli anni Ottanta-Novanta si è aperta una fase nuova con i Social Forum, che hanno sperimentato nuovi saperi e nuove forme della politica, mostrando la possibilità di un salto di qualità della democrazia, nel rapporto movimenti/istituzioni.
Resta il nodo dei partiti che si sono trasformati in questi lunghi anni, oggi ci sono tanti frammenti, pezzi di reti, isole d’esperienza nuova sia nei movimenti, nelle associazioni, quella che è stata chiamata la sinistra diffusa: facciamo dunque uno sforzo per rimettere insieme i pezzi.
Anna Picciolini (Giardino dei ciliegi) sottolinea che la partecipazione è innanzitutto una pratica politica, una legge può stabilirne le condizioni, non la crea. I movimenti di questi anni hanno dato vita a modalità diverse della politica, anche molto mutuate sulla semina poco riconosciuta ma profonda del movimento delle donne: la pratica della ricerca del consenso, il superamento della scissione personale-politico, l’attenzione ai microprocessi della politica per includere chi normalmente è emarginato dal processo consultivo e decisionale.
Forse una legge rischia di imbrigliare, di irrigidire questi importanti cambiamenti? Magari sarebbe più utile un regolamento? Si sofferma quindi su alcuni evidenti limiti del Town meeting, soprattutto il fatto che le domande su cui abbiamo votato fossero già state, quasi tutte, preparate prima del dibattito, e questo ha generato sconcerto nel voto: sarebbe stato meglio dichiararlo apertamente. Alberto Magnaghi (Associazione Rete Nuovo Municipio) ritiene molto complessa la questione del ceto medio sollevata da Ginsborg: il tema meriterebbe un approfondimento in un momento apposito.
Rispetto al movimento confessa di essere più affezionato all’ipotesi carsica, ma soprattutto rileva quanto grande sia la sensazione di sordità rispetto al linguaggio di critica dello sviluppo che si sta sviluppando nei movimenti e nelle reti: c’è una cultura sempre più diffusa che parla un’altra lingua, fatta di decrescita, di ricerca e proposta di diversi stili di vita e di consumo, che non è ascoltata da quella cultura dello sviluppiamo di cui è così impregnato il ceto politico. Rispetto al percorso della legge l’Associazione Rete Nuovo Municipio è partner leale della Regione e intende rispettare gli impegni, ma anche muoversi in autonomia: a questo proposito si chiede se davvero il meccanismo della premialità sia l’unico possibile, preferirebbe un po’ di “punibilità” per chi la partecipazione non la fa.
Per Mario Lupi (capogruppo Verdi in Consiglio regionale) “stasera si vola alto, che cosa posso fare io, nel mio ruolo politico-istituzionale, per favorire il percorso della legge?” Propone tre terreni di cambiamento legati alla legge: gli statuti comunali sulle procedure per il referendum, le audizioni delle commissioni, la concertazione.
Bianca Camiciottoli (Coordinamento dei Comitati della piana) prende le mosse dall’osservazione, ironica e vera, sull’affinità tra un sindaco un presidente di regione e un autista dell’autobus: nessuno di loro vuole essere disturbato.
La cittadinanza attiva invece “disturba”, dispone ma anche propone: quali spazi e quali canali vogliamo dare a questo attore? L’esperienza di mobilitazione e di crescita anche culturale praticata dai Comitati su una questione così globale come l’inceneritore e le sue alternative possibili è ancora lì a dimostrare l’assunto. Si rischia di rimanere alle belle parole se non si praticano aperture effettive a un diverso ascolto dei bisogni e dei problemi. Una legge può costituire un canale di comunicazione e uno strumento di procedura, suggerisce Alberto Chellini (giurista, dirigente del Consiglio regionale), ma come tutto il diritto viene dopo, a definire quello che prima è nato e si è sviluppato nella società.
Certo lo deve fare in modo efficace e non imbrigliante. Dunque che tipo di legge? C’è un’obbiettiva difficoltà nella scala regionale della partecipazione, che gli sembra invece molto più individuabile e realizzabile alla scala comunale. Su questo, rispondendo a Magnaghi, nota che lo strumento premiale degli incentivi può funzionare meglio di quello impositivo, come ha dimostrato la Legge 40 sulle associazioni intercomunali dei piccoli comuni. Evitiamo poi che la partita della partecipazione si giochi solo a livello di esecutivo: visto anche che l’idea e il percorso originano dalla Giunta regionale.
Occorre lavorare anche sul terreno del Consiglio: pensare a come aprirlo ai processi partecipativi, ad esempio nelle Commissioni. Altrimenti si rischia di farne uno strumento di mera organizzazione del consenso al governo, dato anche il sistema di elezione diretta del Presidente. Sconsiglia poi d’intervenire su possibili modifiche dello Statuto, per la cui riscrittura c’è già voluta un’intera legislatura: lasciamo lì i principi che già ci sono e lavoriamo sulle indicazioni più applicative della legge.
In quanto alla questione più generale del rapporto movimenti/partiti/istituzioni non è convinto dall’idea del muro: c’è una contaminazione complessa fra società e partiti, almeno in tutti gli anni Settanta, in cui i partiti della sinistra (allora ancora partiti di massa) sono stati anche parte attiva dei processi partecipativi della società, con effetti contraddittori ma anche fecondi. Ed anche oggi, pur nello scollamento forte che si è determinato, ci sono almeno alcune componenti di essi sensibili al tema del cambiamento della politica, come la stessa promozione del percorso verso la legge dimostra.
Andrea Bagni (insegnante, Social Forum) riprende questo concetto della complessità trasversale dei processi politici: non ci sono la società buona e i partiti cattivi, siamo tutti molto sfaccettati. Proprio per questo misurarsi sul terreno di una legge della partecipazione è un compito stimolante ma molto arduo, come dimostrano anche le diversità di linguaggio e approccio dei tre interventi introduttivi. Come trovare una lingua comune e nuova, che ci permetta di sopravvivere alla marea montante della globalizzazione dei comportamenti e dei cervelli? Coltivando sacche di resistenza, praticando spazi in cui la vita e la politica s’intrecciano.
Una legge potrebbe magari offrire aperture per lo sviluppo di questo: “ecco forse vorrei una legge spiraglio”.