Cantano Arialdo e Susanna “Soltanto dal vuoto può nascere il nuovo” “perfetto, concordo, perfetto”risponde l’Architetto, così parte la nuova opera di Fabio Vacchi e Franco Marcoaldi librettista, all’unisono nel descrivere la leggerezza di due giovani sposi, scaltri, che si liberano di tutto ciò che crea la storia della casa nella quale andranno ad abitare. Due atti per trovare un vuoto che si manifesta fisicamente con la scomparsa dell’arredamento, un vuoto che non si realizza, tornano loro stessi come delle impronte nelle immagini che si muovono nello spazio abitativo.
La scenografia prende vita quando i protagonisti credono di aver pulito, di aver fatto spazio nell’attesa del nuovo che verrà.
Un coro alla fine del secondo atto chiude quest’atmosfera apparentemente leggiadra e farsesca “siamo i narcisi del nuovo millennio…dimentichiamo per non gioire”, Arianna fugge terrorizzata e in quel momento si crea un silenzio rigeneratore, scoppia un temporale e i due si rifugiano nella capanna di Cecchino piena di tutto ciò che era stato buttato.
Musica e parole concordano, i ricordi, i fantasmi, le storie evocate dagli oggetti conservati sono citazioni di melodie popolari, le immagini ricordano il lavoro, la vita di persone trascorsa con l’inevitabilità del dolore e della morte.
Arialdo e Susanna non sono più i giovani modernissimi e spregiudicati dell’inizio, stanno li, nella scena cupa della storia ad ascoltare Cecchino “siamo parte di qualcosa dove il sangue e la follia si confondono alla gioia e al profumo della rosa. Bel problema non ti pare?” e tutti in coro “singolare, universale!”. Ascoltando quest’opera si coglie l’unità e la bellezza, la complessità e la semplicità del compositore e del poeta. Nell’allestimento, la ricerca di un’algida atmosfera nei primi due atti e di un luogo cupo del ricordo trova nella scelta delle immagini proiettate un limite, la strada dell’immaginazione viene in parte preclusa a coloro che amano abbandonarsi all’originaria suggestione del teatro.
La preponderanza dell’impatto visivo-narrativo induce ad un’altra riflessione riguardo alla vocazione dei luoghi istituzionalmente predisposti ad ospitare il teatro musicale.
[C. C.]