Da oggi a Firenze il congresso dei maggiori specialisti italiani, mentre nel mondo le malattie cardiovascolari diventano la prima causa di morte e di invalidità.
Ogni anno muoiono nel mondo circa 50 milioni di persone, oltre un terzo per via di malattie cardiovascolari ormai diventate la principale causa di morte. Si tratta di 15 milioni di decessi, il 45,6% dei quali in Occidente. In questo gruppo di patologie sono preminenti cardiopatia ischemica e malattie cerebrovascolari con circa 7,2 e 4,6 milioni di morti.
In Italia, secondo le ultime stime, la mortalità cardiovascolare rappresenta il 44% del totale. Il peso clinico della cardiopatia ischemica è destinato ad aumentare: resterà la prima causa di morte anche nei prossimi 20 anni e salirà dal quinto al primo posto come malattia disabilitante.
Lo hanno detto il professor Gian Franco Gensini, preside della Facoltà di Medicina dell’Università di Firenze, e il professor Mario Mariani, direttore del Dipartimento Cardio-Toracico dell’Università di Pisa, presentando oggi alla stampa la seconda edizione di Florence Heart 2002 (Palazzo dei Congressi, 7 – 9 febbraio), vertice dei maggiori specialisti italiani chiamati a discutere, insieme a una rappresentanza qualificatissima di ricercatori europei, delle più recenti novità scientifiche, cliniche e farmacologiche in materia di cardiologia.
“Abbia concentrato in tre giorni quanto di meglio è offerto dal progresso medico clinico e investigativo”, hanno spiegato Gensini e Mariani, “L’obiettivo è di dare a cardiologi e internisti ciò che non è più possibile nei grandi congressi internazionali, ovvero l’opportunità di dialogare direttamente con i ricercatori che hanno avuto un ruolo negli studi più recenti e importanti per il nostro lavoro quotidiano”.
Organizzato con la collaborazione della Società Italiana di Cardiologia e delle associazioni dei cardiologi Aimco e Ance, Florence Heart 2002 presenta un programma fittissimo di relazioni e incontri in cui occupano grande spazio le nuove tecniche diagnostiche e terapeutiche (genoma), la cardiochirurgia robotica, le malattie valvolari, le arteriopatie periferiche, l’angina e l’infarto, ma anche la prevenzione e, in particolare, la precocità dell’intervento come elemento per ottenere risultati migliori.
Nella lotta all’infarto, brilla comunque il caso Firenze grazie al sistema di unità coronariche, mobili e non, voluto dal professor Francesco Antonini e, oltre 20 anni fa, dal professor Giovanni Bertini, l’attuale direttore del Dipartimento emergenza-urgenza dell’area fiorentina. Una ricerca inedita del 118 spiega appunto che a Firenze, in virtù di questo sistema nonchè delle più recenti tecniche angioplastiche, la mortalità per infarto è crollata dal 22% degli anni Settanta al 6% di oggi.
Tra i paesi industrializzati, nella speciale classifica della mortalità dovuta a cardiopatia ischemica, l’Italia si segnala peraltro insieme a Francia e Giappone tra quelli meno a rischio: appena 250 decessi all’anno ogni 100 mila abitanti, contro i 1000 della Finlandia e i 750 dell’Australia e degli Stati Uniti.
“Grazie alla dieta mediterranea”, ha ricordato Gensini, “ricca di verdura, pesce, oli vegetali e povera invece di grassi animali e di colesterolo”.
Grazie al sistema di unità coronariche e alla moderna chirurgia l’infarto a Firenze non fa più paura. In due decenni, decessi crollati dal 25 al 6%.
Nella Firenze degli anni Settanta era facilissimo morire d’infarto. Su quattro casi, uno risultava immancabilmente fatale. Per cambiare le cose c’è voluto un ventennio e molto impegno.
Oggi i morti per infarto sono appena 6 su cento, un risultato che colloca la sanità fiorentina ai vertici mondiali. Poche cifre per rendere l’idea: negli anni Novanta, mentre Firenze registrava il 3% per cento delle vittime prima del ricovero in ospedale e il 12% successivamente al ricovero, in Germania se ne contavano il 15% e il 40% e negli Stati Uniti il 14% e il 25%.
Risultato di una ricerca del 118, il servizio che gestisce le emergenze cardiolologiche nell’area fiorentina (Usl 10, oltre 850 mila abitanti), questi dati inediti sono stati diffusi oggi a Firenze nel corso della conferenza stampa di presentazione del congresso Florence Heart 2002.
Si tratta di un successo frutto di un lungo cammino iniziato alla fine degli anni ’60 con il professor Francesco Antonini, allora docente di Gerontologia, che organizzò a Careggi, nell’ospedale di Ponte Nuovo, un’Unità di cura intensiva coronarica, la prima a Firenze e una delle primissime in Italia.
Alla fine degli anni Settanta, un numero impressionante di decessi per infarto prima del ricovero in ospedale spinse il professor Giovanni Bertini, docente di Medicina d’Urgenza, a organizzare una Unità coronaria mobile.
Con quella di Udine fu la prima in Italia ed è stata il nucleo fondamentale del sistema di emergenza territoriale fiorentino diventato negli anni successivi il 118, diretto fino a un anno fa dallo stesso Bertini, oggi responsabile del Dipartimento emergenza-urgenza.
Questo sistema ha consentito di abbassare sensibilmente la mortalità per infarto fuori dell’ospedale e ha permesso alla maggior parte dei pazienti di arrivare in ospedale in tempo utile per trarre i massimi vantaggi dagli interventi di rivascolarizzazione cardiaca che hanno portato la mortalità ospedaliera per infarto agli straordinari livelli attuali.
Sono 650/700 all’anno, pari al 60% circa del totale di 1100/1200 infartuati, i pazienti sottoposti a angioplastica coronarica, ovvero ad un intervento invasivo per mezzo di sonde immesse all’interno delle coronarie attraverso l’aorta.
Strumenti che consentono di trovare il punto esatto dell’occlusione coronaria e di dilatare il vaso in modo da far scorrere di nuovo il sangue. In questi casi la mortalità raggiunge il livello più basso: appena il 6%.
Fumo, diete sbagliate, ipertensione. Così i cardiologi europei invitano alla prevenzione contro l’aumento delle malattie cardiovascolari.
Fumo, ipertensione, ipercolesterolemia, bassi valori di colesterolo HDL, sedentarietà, sovrappeso e diabete, ma anche sesso, età, eredità genetiche.
Sono questi i fattori, modificabili o meno, che determinano i livelli di rischio cardiovascolare. Livelli che agiscono fra loro in modo esponenziale, come hanno dimostrato una serie di studi (MRFIT e Framingham) condotti negli Usa.
Le recenti raccomandazioni delle Società Europee di cardiologia per la prevenzione delle patologie cardiovascolari (controllo di pressione, del colesterolo e del peso, no al fumo, sì all’attività fisica) sono una tappa fondamentale nella ricerca e indicazioni per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Molto importanti anche i comportamenti e, fra questi, le abitudini dietetiche corrette in qualità e quantità. Circa la terapia farmacologia, statine e in particolare la simvastatina sono risultate assai capaci di ridurre gli eventi cardiovascolari.
Fra le altre patologie in aumento, la fibrillazione atriale (FA) interessa lo 0,4% della popolazione, con un’incidenza crescente con l'età: 1,5% sopra i 60 anni, 8% oltre i 90. Di fatto, ne soffre il 20-25% dei pazienti ricoverati per ictus.
I pazienti con ischemie cerebrali corrono il rischio di un nuovo evento cardioembolico in misura del 10% annuo. I fattori più comunemente associati a un aumento del rischio di FA sono il diabete, l'ipertensione, l'insufficienza cardiaca, le alterazioni valvolari,reumatiche e non, e l'infarto del miocardio.
La fibrillazione atriale è il secondo fattore di ictus e può aumentarne il rischio di 5 volte. Rischio che cresce in modo esponenziale con l'aumentare dell'età: dall'1,5% per i 50-59enni, fino al 23% per gli 80-89enni.
Oggi, l’ictus cerebrale rappresenta una frequente causa di morte (al terzo posto dopo i tumori e la cardiopatia ischemica) e di disabilità residua, con importanti implicazioni economiche e di qualità della vita del paziente. Secondo lo studio di Framingham, per 296 uomini e 325 donne la fibrillazione atriale è associata a un aumento di 1,5-1,9 volte della mortalità.
Lo scompenso cardiaco rappresenta invece una delle patologie più frequenti anche in rapporto all’invecchiamento della popolazione.
Negli Usa ne soffrono circa 5 milioni di persone e la mortalità nei sei anni successivi è di circa l’80% negli uomini e del 65% nelle donne. Sempre negli Stati Uniti, l’1% della spesa sanitaria riguarda la diagnosi e la terapia dello scompenso cardiaco. Se ne registrano 400.000 nuovi casi l’anno e la prevalenza è di 2.000.000, mentre la mortalità dopo 5 anni è del 50%.
Lo scompenso cardiaco è più frequente nei pazienti anziani e la sua prevalenza aumenta in modo esponenziale dalla sesta decade di vita.
Dal ’55 al ’70 all’80 al ’91 c’è un aumento della mortalità per scompenso nonostante la disponibilità di farmaci sempre più potenti. Se riusciamo a salvare i pazienti che hanno avuto l’infarto del miocardio, quei pazienti sono candidati a un possibile scompenso, magari dopo molti anni, che inevitabilmente diventa la causa di morte. Per il miglioramento della terapia della malattia coronarica e per il progressivo aumento dell’età media della popolazione, si prevede nel futuro un aumento della prevalenza dello scompenso e quindi della spesa per il trattamento.