E’ quello in via degli Alfani, che fa angolo con l’ingresso del Conservatorio Cherubini, ma propriamente è una struttura di servizio della Galleria dell’Accademia, nel senso che da anni vi si ammassano in fila i turisti in attesa di visitare il museo. Li possiamo vedere quasi tutte le mattine, sotto la pioggia, o un sole cocente, rassegnati alle code italiane, senza potersi sedere, senza un ristoro, senza nemmeno la dignità dei servizi igienici. Sono gruppi e singoli, giovani e vecchi, che magari hanno già atteso per ore agli Uffizi, sono stati taglieggiati in qualche albergo, borseggiati al mercato, intossicati al ristorante, e forse promettono già che a Firenze non ci torneranno mai.
I più giovani e tenaci ingannano l’attesa lasciando sul muro di via degli Alfani un loro ricordo: una scritta, oppure gomme da masticare, che col trascorrere del tempo si sono talmente accumulate sulla parate da sembrare un murales, una testimonianza artistica sulla disorganizzazione del turismo culturale fiorentino.
Tecnicamente non ci vorrebbe molto per capire che forse la struttura dell’Accademia non è più adeguata a sostenere l’impatto dei visitatori di massa.
Forse qualcuno in città potrebbe anche trarre la conclusione che una coraggiosa redistribuzione del patrimonio artistico in nuovi siti, magari decentrati, consentirebbe di alleviare il disagio dei turisti e forse anche, disponendo di spazi più ampi, di rendere fruibile una parte consistente dei tesori, sinora nascosti nei magazzini (o cantine) dei principali musei.
Per il momento regna sovrana la convinzione che a Firenze i turisti, almeno una volta nella vita, devono comunque venirci e tanto vale non sforzarsi troppo.
Così, sulla base di questo postulato più degno della Mecca, si continua a sottovalutare la centralità strategica per Firenze del turismo culturale, e qualcuno ritiene di poter gestire musei, enti e sovrintendenze, un po’ come i feudatari medievali arroccati nei loro castelli. E c’è certamente chi, passando davanti al muro di via degli Alfani, ha l’impudenza di pensare: “Questi turisti: che maleducati!”.