FIRENZE - All’interno del variegato mondo dell’arte, accade talvolta che si sviluppino raffinate passioni estetiche in controtendenza con i loro tempi, e pertanto si creino i presupposti per la nascita di un collezionismo d’élite, che, in retrospettiva risulterà decisivo per le sorti della conservazione del patrimonio artistico mondiale.
La fortuna dei Primitivi. Tesori d’arte dalle collezioni italiane fra Sette e Ottocento, è una mostra dal taglio squisitamente intellettuale, che indaga ambienti sociali, contesti storici e motivazioni estetiche, che portarono alla riscoperta di quella stagione artistica. La mostra curata da Angelo Tartuferi e Gianluca Tormen, racchiude circa quaranta collezionisti - che l’allestimento suddivide per aree geografiche -, indaga un fenomeno, l’interesse per l’arte antecedente alla maniera moderna, nato in Italia tra la fine del Settecento e il primo Ottocento.
All’epoca, la Penisola era percorsa dal vortice delle armate napoleoniche, che oltre della baionetta erano armate d’idee progressiste, che avrebbero inciso non poco nel sentire comune dell’Europa dell’epoca. L’Illuminismo faceva guardare al futuro certi della validità del ragionamento scientifico e razionale, e portando a disprezzare tutto quanto fosse il prodotto delle epoche passate, ancora ostaggio della religione e del potere ecclesiastico. Proprio il patrimonio della Chiesa fu il primo a cadere sotto la scure degli editti napoleonici, che determinarono la soppressione di numerosi monasteri, chiese, conventi, i cui edifici vennero convertiti a usi civili.
Le numerosissime opere d’arte, molte delle quali risalenti all’età medievale, rischiarono di andare perdute, per incuria e ignoranza del loro valore storico-artistico. A comprenderlo, fu una schiera di gentiluomini, abati, segretari politici, che setacciarono attentamente il mercato clandestino che era nato attorno a queste opere “disprezzate”, sulle quali all’epoca non vigeva controllo alcuno ed erano quindi facile preda di razzie. Il loro senso della storia, della bellezza, della necessità di tramandare il passato, fece sì che l’arte medievale italiana giungesse fino a noi.
La mostra ricostruisce una parabola collezionistica che da Roma all’Umbria, passando per la Toscana, l’Emilia e il Veneto, si spingeva sino in Francia, grazie a importanti famiglie quali gli Adami, gli Zucchetti, gli Obizzi, i Correr, tutte mosse dal piacere esclusivo di possedere e ammirare la poetica bellezza di capolavori di un’epoca lontana, che la patina dei secoli ha resi più affascinanti. Un piacere da intenditori, e infatti non furono molti a collezionare i Primitivi. Ma è a quei pochi che si deve la riscoperta e la conservazione delle loro opere; un collezionismo cui Giovanni Previtali dedicò il saggio La fortuna dei Primitivi, e la mostra fiorentina, che lo cita nel suo titolo, ne celebra i cinquant’anni dalla pubblicazione e ne costituisce l’ideale completamento, affiancando alla parola scritta la bellezza delle tavole e dei colori dei quali Previtali tracciava l’avventura storica.
Ne scaturisce un viaggio nell’arte dal Duecento al Quattrocento, attraverso i capolavori di artisti quali il Maestro della Maddalena, Arnolfo di Cambio, Bernardo Daddi, Taddeo Gaddi, Nardo di Cione, Lippo Memmi, Vitale da Bologna, Ambrogio Lorenzetti, Pietro da Rimini, Matteo Giovannetti, il Beato Angelico, Attavante degli Attavanti, Andrea Mantegna, Cosmè Tura, Piermatteo d’Amelia e Giovanni Bellini. Un viaggio epico e mistico insieme, fra storie della Vergine, vite dei Santi, episodi biblici, la Passione di Cristo, che riporta a un contesto storico ancora profondamente rurale, dove per la plebe contadina, ingenua e analfabeta, le pitture religiose erano il solo modo per conoscere le Sacre Scritture; dove queste erano la sola fonte di conoscenza, non essendo ancora stati riscoperti i testi del pensiero classico, e pertanto la dimensione religiosa era la sola che fosse avvertita dal popolo, e dove entrava anche una buona dose di superstizione.
Non stupisce che la nuova Europa illuminista inorridisse davanti a situazioni del genere, e per questo si rischiò la perdita di un’intera pagina di storia dell’arte, dove l’Italia aveva avuta parte importantissima.
L’elegante allestimento suddivide le opere sulla base della provenienza collezionistica, e di ognuno di questi cultori dell’arte antica è esposto il ritratto, assieme a una breve biografia, utile a conoscere coloro ai quali dobbiamo ancora oggi l’esistenza di questi capolavori. Infatti, le loro collezioni, costituiscono il nucleo di quelle di tanti musei, che le acquisirono o le ottennero per donazione, al momento della scomparsa del collezionista, o per volontà dei discendenti.
Una mostra da vedere, perché trasmette il messaggio dell’importanza della conservazione del patrimonio artistico, e perché offre un’ampia panoramica su una pagina artistica poco frequentata dal grande pubblico.
Nella foto: Antonio Leonelli, Sacra Famiglia con San Giovannino