I Massoni a Firenze secondo Olinto Dini

Pubblicata per le Edizioni Polistampa, la storia della “Loggia Concordia (1861-2000) i Massoni a Firenze”

Nicola
Nicola Novelli
28 giugno 2009 21:03
I Massoni a Firenze secondo Olinto Dini

Il 17 marzo 1981 due magistrati, accompagnati da ufficiali della Guardia di Finanza, si presentano in uno stabilimento industriale a Castiglion Fibocchi, nei pressi di Arezzo, per acquisire documentazione nello studio di Licio Gelli, maestro venerabile della Loggia Propaganda 2. Nelle settimane successive la rivelazione dei documenti rinvenuti tratteggia l'ipotesi di una congiura ai danni dello Stato e della società democratica in cui la Massoneria sarebbe parte di un complotto che la lega alla mafia e ai terrorismi.

Da queste accuse la Massoneria italiana non si è mai totalmente ripresa. Negli anni successivi l'opinione pubblica ha assistito ad altre inchieste giudiziarie che hanno lambito le Logge, a scissioni del Grande Oriente, a scomuniche dalla Gran Loggia Unita d'Inghilterra. E dire che in occasione della Gran Loggia del marzo 1978 il Gran Maestro del GOdI, il fiorentino Lino Salvini, aveva potuto vantare il sostegno di quasi 20.000 fratelli. Com'è possibile che la Massoneria italiana sia passata in pochi anni dal massimo fulgore alla peggiore crisi endogena?

Anche a questa domanda prova a rispondere il lavoro di Olinto Dini, massone aretino, sindacalista e amministratore pubblico, che ha appena pubblicato per le Edizioni Polistampa, la storia della “Loggia Concordia (1861-2000) i Massoni a Firenze”. Il libro racconta la vita della prima Loggia fiorentina, innestata nel movimento risorgimentale toscano. E' proprio a Firenze capitale del Regno (1865-1870) che si costituì il Grande Oriente d'Italia, e che divenne “istituzione” della nuova fase politica.

Il racconto di Dini prosegue con la scissione del 1908, la violenza antimassonica del Fascismo sino alla ricostituzione della Loggia a Firenze nel dopoguerra. Ma è chiaro che il capitolo più delicato è l'ultimo, quello in cui Dini si dedica alla vicenda della degenerazione Piduista e del Gellismo deviante in contrasto con la tradizione storica e la fedeltà ai Principi di libertà. La vicenda ha una speciale delicatezza tutta toscana, dovuta al fatto che dal 1970 i due principali protagonisti della Massoneria sono appunto il medico fiorentino Lino Salvini, già Maestro venerabile della Loggia Concordia dal 1962, e Gran Maestro del GOdI dal marzo 1970, e Licio Gelli, imprenditore aretino d'elezione, ma pistoiese d'origine, che proprio dalla primavera del 1970 diventa segretario organizzativo della Loggia P2, una responsabilità anomala, in contrasto con i regolamenti dell'istituzione.

Come è possibile che a un uomo dal passato controverso, iniziato cinque anni prima, potesse essere affidata la loggia riservata che raccoglieva i Fratelli di maggiore responsabilità in seno alla politica, alla cultura e all'economia del paese?

Il libro di Olinto Dini non da una risposta esaustiva ai dubbi. Da conto però del travaglio interno alla Massoneria italiana in anni cruciali per la storia della Repubblica. A fronte dell'attività incessante di Gelli per reclutare una rete di relazioni di rilievo che gli consentano di esercitare una strumentale pressione politica ed economica sul potere nazionale, già nel 1974 in occasione della Gran Loggia di Napoli in molti manifestano preoccupazioni per l'estraneità della P2. I Maestri Venerabili ottengono il formale scioglimento della Loggia, ma sopravvive il rapporto privilegiato tra Gelli e Salvini, che si illude così di ottenere maggior prestigio per il Grande Oriente.

Rifondata tra le polemiche nel '75, la Loggia P2 riprende le proprie attività al di fuori di ogni controllo, con un Gelli accreditato ormai a livello internazionale. Tra il 1979 e l'81 anche Maestri Venerabili toscani, come quelli delle Logge di Piombino, inviano tavole di accusa sui rapporti tra Salvini e Gelli. Ma è solo la Magistratura a frenare l'ascesa del potere di Gelli con l'inchiesta del 1981. Le accuse di gravissimi reati, su alcuni dei quali il venerabile si è trovato nella condizione di non essere mai giudicato, hanno finito per infangare il nome della Massoneria italiana innescando un processo di distacco con l'opinione pubblica che non è stato più sanato integralmente.

Dini imputa l'anomalia eversiva di Gelli e l'ambiguità del suo rapporto con la Massoneria al periodo di instabilità politica e ideologica in cui gli eventi ebbero luogo. Resta il dubbio che la profonda e sincera fede del socialista aretino nei principi fondanti la società iniziatica non consentano una ricostruzione scevra da convinzioni di un'epoca triste per la libertà e la laicità del paese.

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