“Preferisco indebitarmi per mantenere i servizi. E quindi utilizzare gli immobili comunali. Non venderli, ma metterli a garanzia dei prestiti, costituendo un fondo apposito”: così il sindaco in una sua intervista alle pagine regionali di un quotidiano nazionale. Ribatte l’associazione fiorentina che da decenni combatte i fiumi di denaro pubblico riversati nelle cosiddette ‘grandi opere’, in una lettera aperta a Dario Nardella pubblicata sul suo sito: “A noi non sembra, signor sindaco, una buona idea quella di impegnare gli immobili comunali: piuttosto che se stesso, Lei indebiterebbe i cittadini di una Firenze già troppo consegnata a interessi estranei a quelli della sua popolazione (che infatti se ne va), e poco compatibili anche con la tutela della sua cultura e della sua storia”.
E chiede, per il patrimonio pubblico disponibile, “un altro modello di impegno, civico ancor prima che economico”. Provvedimenti, dice, di ‘buona urbanistica’.
Vediamo alcuni esempi.
Per l'ex caserma Goffredo Mameli, in Piazza Stazione, che ospitava la Scuola Marescialli e Brigadieri dei Carabinieri, Idra propone che diventi sede unificata degli uffici comunali aperti al pubblico, un front office che si gioverebbe dell'ubicazione in un luogo crocevia delle linee di tramvia, bus e ferrovie.
O ancora: il Comune di Firenze e altre istituzioni (ad esempio l’Azienda Sanitaria) possiedono una gran quantità di beni che “sono stati sottratti – più o meno saggiamente - alle loro destinazioni originarie di pubblica utilità. Ebbene, in una prospettiva di lungo periodo, perché non incentivare il trasferimento dei dipendenti in sedi più ravvicinate alle relative abitazioni? Parliamo infatti, nel caso del Comune e della ASL, dei maggiori datori di lavoro del capoluogo, fra l'altro pubblici, e dotati di un responsabile della mobilità aziendale (il mobility manager)”.
Secondo Idra, infatti, la risposta alla pandemia Covid19 in tema di mobilità privata verso e all'interno della città di Firenze può avere due esiti opposti: “concretizzarsi come un nuovo inizio, oppure come un ritorno al passato, in forma di gran lunga peggiore”. Ma urge, aggiungono dall’associazione, “fare passi concreti verso la soluzione dell'emergenza ambientale e climatica, che tornerà sul proscenio se la ‘ripartenza’ non porterà cambi di paradigma”.
E si cita il documento della European Environment Agency (Air quality in Europe, 2019 report), secondo la quale ogni anno le polveri sottili, le Pm 2,5, ogni anno provocherebbero nel nostro continente la morte prematura di oltre 400.000 persone. Non soltanto. “Sono numerosi gli studi realizzati recentemente che dimostrano una stretta correlazione fra l'inquinamento ambientale e la diffusione dello stesso Covid19”.
Un altro consiglio: “Nel caso, auspicabile, che il Comune di Firenze, proprio alla luce della pandemia, preferisca orientarsi verso un ritorno al decentramento amministrativo, perché non assumere determinazioni che permettano di ridefinire i compiti e i poteri dei Consigli di quartiere, e di provvedere ai finanziamenti che permettano loro di svolgere con efficacia le proprie attività?”.
Resta il nodo delle risorse. Dove si troverà – si chiedono nell’associazione ecologista - la liquidità indispensabile a garantire i servizi sociali essenziali, a partire dai minori, gli anziani, fino alle biblioteche? Anche qui, non mancano i suggerimenti, a partire da un’analisi delle condizioni in cui versa la città dopo lustri di “incassi legati alla monocultura del turismo e del suo indotto: una gallina dalle uova d’oro che si è inteso allevare mercificando la città, esponendola allo spopolamento, alla speculazione, alla fruizione di massa usa-e-getta, scommettendo su una ‘filosofia del trolley’ che al primo segnale di crisi prometteva di rivelare tutta la propria drammatica fragilità”.
In proposito si suggeriscono “criteri di tassazione finalmente più equi”: permetterebbero di recuperare “importanti risorse che oggi restano invece nelle tasche dei nuovi grandi proprietari immobiliari che si sono impossessati di quote crescenti di appartamenti, palazzi, ex caserme, preziose aree dismesse”.
Poi c’è il tema delle valanghe di denaro investite o impegnate negli interventi infrastrutturali più pesanti: “Palazzo Vecchio ha voluto coltivare – è la diagnosi impietosa - un’insana ideologia delle ‘grandi opere’, costose e pericolose, progettate, approvate, contrattualizzate ed eseguite (se e quando) con criteri che mostrano oggi anch’essi drammaticamente la corda”. Iscrivere a bilancio 2020 somme quanto meno aleatorie, sostiene Idra, come i 54 milioni ‘compensativi’ di una TAV oggi sempre più improbabile (se non nelle fantasie di qualche giornale) è stata “una scelta rischiosa, e a pagarne le conseguenze non dev’essere la popolazione, che della città è proprietaria quanto meno morale!”.
Quanto al capitolo tramvie, la domanda che viene posta al sindaco è “quali clausole di gestione delle tramvie siano state sottoscritte a suo tempo da Palazzo Vecchio, se oggi ci troviamo a doverne ricontrattare il modello di business”.
La lettera si conclude con un invito al primo cittadino a riconsiderare le scelte operate in questi anni, e a porvi rimedio: “Delle conseguenze di questa visione di città deve evidentemente render conto la classe politica che ha governato Firenze negli ultimi lustri, di cui Lei stesso ha fatto parte, dott. Nardella, come vice sindaco e come sindaco da 11 anni a questa parte. È da come verrà amministrata questa transizione verso la ‘ripartenza’, e dalla qualità della ripartenza, che si trarranno gli auspici per il suo futuro.
Una cosa però possiamo suggerirLe già adesso, perché vi metta mano con ogni possibile sollecitudine, signor sindaco. La vicenda, locale, nazionale e planetaria di questa emergenza che è insieme sanitaria, economica e sociale può e deve insegnarci ad allocare in modo più oculato le risorse. Se in passato, come lei stesso ammette, sono stati adottati modelli che non sono più proponibili, ebbene allora è giunto il momento di fare come quelle imprese che hanno colto l’attimo e hanno riconvertito a fini socialmente utili la propria produzione.
O come l’Unione Europea e la BCE, che hanno messo via le vecchie ‘regole’: ricorrono infatti condizioni, cause di forza maggiore, che permettono - anzi impongono - di liberarci dei passati vincoli di bilancio”.
Ed è dalla stessa avventura TAV, ferma da 21 anni al palo, che emerge una ricetta operativa percorribile: “Dei 1600 milioni di euro pubblici – si legge nella chiusura della lettera aperta - investiti in un’opera sempre più impossibile, e in queste condizioni addirittura grottesca, ne sono stato spesi, male e inconcludenti, 800, e altri 800 sono ancora nel piatto: ottenga Lei dalla ministra alle Infrastrutture Paola De Micheli, o dallo stesso premier Giuseppe Conte, che il Governo si faccia promotore di un provvedimento, o di un’equivalente proposta al Parlamento, che porti a depennare subito quella voce di spesa presente nel contratto di programma con Rete Ferroviaria, e siano quelle risorse destinate ad ampio spettro all’area metropolitana di Firenze – oltre che per la tutela delle economie sane messe in ginocchio dalla pandemia - in trasporti pendolari, messa in sicurezza delle scuole dei nostri figli, salute, manutenzione e sicurezza delle infrastrutture esistenti, tutela del patrimonio ambientale e culturale… insomma, in tutte quelle voci-cenerentola di cui questo virus sta forse aiutandoci a capire il vero valore!”.