FIRENZE - La Bellezza salverà il mondo. Questo sembra essere l’afflato che muove dalle splendide tele raccolte nel corso della vita, con passione e competenza, da Francesco Molinari Pradelli, bolognese di origine e cosmopolita nell’animo, nonché direttore d’orchestra in più edizioni del Festival del Maggio Musicale Fiorentino, dal 1942 al 1974. Attraverso la splendida mostra Le stanze delle Muse. Dipinti barocchi dalla Collezione di Francesco Molinari Pradelli, aperta al pubblico dall’11 febbraio, la Galleria degli Uffizi rende omaggio a un raffinato uomo di cultura, che sapeva spaziare dalla musica alla pittura, convinto che godere della bellezza di un’opera d’arte costituisse qualcosa di più del semplice appagamento dei sensi, ma fosse anche occasione di ascolto e riscoperta di sé stessi e della realtà circostante.
Il Bello soggettivo, e non quello suggerito dai manuali di storia dell’arte, è la fiamma che dà vita alla raccolta. Non casualmente, a formare la collezione concorrono nomi di pittori poco noti al grande pubblico, scelti da Molinari Pradelli per l’appagamento estetico che gli suscitavano, e da vero collezionista si circondava di opere che potessero riservargli le stesse emozioni stratificate che gli venivano dall’ascolto di una sinfonia o dalla lettura di una poesia. Ben cento sono i capolavori, tutti risalenti all’epoca barocca e tardo-barocca, presenti in mostra.
Esporre questa splendida collezione, notificata a suo tempo dal Ministero dei Beni Culturali, significa compiere un’intelligente operazione di politica cultuale, offrendo una visione dell’arte al di fuori dei canoni accademici. Capire come nacque la collezione, soffermarsi sull’elegante opulenza delle “dispense” delle nature morte, osservare i discreti trionfi di fiori e frutta di scuola caravaggesca, lasciarsi trasportare dagli sguardi sognanti delle eroine di miti e allegorie, è occasione, per il pubblico più attento, di apprezzare l’arte nei suoi più reconditi e spirituali significati.
Nel corso degli anni, è nata pertanto una collezione che si può intendere come un’ideale sinfonia del Bello, accostamento di suggestioni poetiche che spaziano dalla bellezza della Natura alla bellezza dei corpi, il senso ancestrale del mito, e l’inquietante chiaroscuro della Controriforma. A formare questo ideale mosaico pittorico, artisti poco noti al grande pubblico, quali Guido cagnacci, Carlo Magini, Giovanni Agostino Cassana, Paolo Monaldi, Jacopo da Empoli. La mostra, inserita all’interno della rassegna Un Anno ad Arte 2014, costituisce un viaggio nella raffinata cultura artistica barocca, oltre che un omaggio al maestro Molinari Pradelli, che ebbe un lungo e fecondo rapporto umano e artistico con la città di Firenze.
A partire dal titolo, si evoca l’idea di grazia che sottintende al lungo lavoro di ricerca collezionistica di Molinari Pradelli, per il quale le Muse - pittura, musica, e poesia, intesa sia come elegia sia come epica -, mai smisero di dialogare. Cento opere per sette sezioni, a cominciare dalla natura morta, e continuando con le scuole regionali italiane: lombarda, veneta, emiliana, toscana, romana, napoletana. Apre quindi la natura morta, genere che ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione collezionistica di Molinari Pradelli, e che fino agli anni Sessanta del Novecento era ben poco considerato e conosciuto da collezionisti e storici dell’arte.
Per la sua attenta ricerca di autori poco noti, dei quali rendeva minuzioso conto agli storici dell’arte, fra cui Roberto Longhi, Francesco Arcangeli, e Carlo Volpe, Molinari Pradelli è considerato uno dei pionieri degli studi dedicati alla natura morta. Nella sua collezione, spiccano, fra gli altri gli anonimi caravaggeschi, accanto ai napoletani Luca Forte e Giuseppe Ruoppolo, e al fanese Carlo Magini. Nella pittura emiliana commuove la sommessa bella della Carità del Mastelletta, ispirata al Carracci, a fianco del luminoso Ratto d’Europa del Cagnacci, con la fanciulla rapita da Zeus che spicca sull’azzurro del cielo, splendido nudo carnale e spirituale insieme.
Nel suo lungo itinerario lungo un secolo e mezzo di pittura, la mostra è anche un dialogo tra Firenze e Bologna, città ugualmente care a Molinari Pradelli, con la città emiliana che evocata da un’apposita sezione che ripropone spezzoni di pellicole girate da Pupi Avati dagli anni Settanta a oggi. Un modo per entrare nella dimensione più intima dell’uomo Francesco Molinari Pradelli, raffinato intellettuale prima ancora che collezionista. L’allestimento curato dall’architetto Antonio Godoli aiuta a seguire questa linea, riproponendo alcuni ambienti della casa del maestro, fra cui l’elegante salotto, ricreato con i mobili provenienti dall’abitazione nella campagna bolognese, e riproduzioni fotografiche di grande formato del giardino, del caminetto cinquecentesco, della camera da letto.
A impreziosire la mostra, due sezioni realizzate in collaborazione con il Maggio Musicale, che propongono suggestivi documenti d’epoca, quali fotografie e manifesti di opere e concerti diretti da Molinari Pradelli. Un modo, ha spiegato Antonio Natali, direttore degli Uffizi, per dare voce a un’importante istituzione culturale italiana, quale è appunto il Maggio, che sembra ancora lontano dall’attenzione che pure merita da parte del mondo politico. C’è urgente necessità di guardare al futuro, conservando nei fatti l’immenso patrimonio culturale dell’intero Paese. La mostra, promossa dal MiBAC, la Soprintendenza fiorentina e la Galleria degli Uffizi, è visitabile fino all’11 maggio.
Tutte le informazioni su orari e biglietti, al sito www.unannoadarte.it. Niccolò Lucarelli