FIRENZE - L’avidità di potere non conosce limiti né età storica, ma sempre opprime i più deboli per la soddisfazione di pochi. È l’amara constatazione dell’applauditissimo RICCARDOTERZO, andato in scena ieri sera al Teatro della Pergola, per la regia di Alessandro Gassmann che si cimenta con coraggio e intelligenza in quello che fu uno dei grandi successi teatrali del padre, e lo fa riproponendo questa pièce shakespeariana in un momento particolarmente significativo della disgraziata storia italiana.
Ma andiamo con ordine. Già dalla reinterpretazione del titolo, con una grafia a metà fra il cinema e il fumetto, si capisce che si ha a che fare con una regia dirompente, oscura e coinvolgente insieme. Opera “minore” di una tetralogia storica, Riccardo III è una drammatizzazione degli eventi storici recenti per Shakespeare, conclusi nel 1485, dalla Guerra delle due rose, che culminarono con la sconfitta del malvagio re Riccardo III di York nella battaglia del campo di Bosworth e con la presa di potere definitiva dei Tudor.
La figura di Riccardo Plantageneto e del suo “regno del terrore”, non corrisponde all’esatta realtà storica, tuttavia le opere teatrali di Shakespeare sull’argomento, non sono, in ogni caso, da intendere come storicamente accurate, bensì come occasioni di riflessione, anche paradossale, sulle pulsioni dell’uomo, e la sua angoscia esistenziale. Il Riccardo III descrive la sete umana di potere, e le conseguenze nefaste di cui è foriera. È su quest’aspetto che Gassmann incentra il suo allestimento, dando vita a un sovrano deforme e rantolante, che desidera il potere con Machiavellica depravazione.
Gli omicidi dei familiari e dei fedeli collaboratori, ordinati per raggiungere lo scopo, rappresentano anche un quasi patologico bisogno di sangue. Ma, paradossalmente, l’unico personaggio che dimostra coerenza è proprio il perfido Riccardo: a differenza dei personaggi della corte, fedeli a questo o quel sovrano, (o a più di uno), per interessi personali, Riccardo si mostra per quello che realmente è: un uomo malvagio avido di potere, per ottenere il quale è disposto a commettere qualsiasi delitto.
Suo braccio armato, è il fedele Tyrrell -un convincente Manrico Gammarota -, che esegue impassibilmente anche gli ordini più infami. E tuttavia, è l’unico personaggio che, in solitudine, si lascia andare agli impulsi della coscienza, domandandosi se ci sia un limite alle malvagità che sta compiendo. “La coscienza deve essere bandita da città e Paesi”. Accennavamo di sopra al momento particolarmente significativo della disgraziata storia italiana. Il Riccardo di Gassmann è infatti a nostro dire attualissimo, soprattutto alla luce di questa frase, pronunciata con da Tyrrell con fiero cinismo.
È la conditio sine qua non affinché il potere possa prosperare impunito. Lo spargimento di sangue è il mezzo più evidente, ma ne esistono anche di più subdoli per annullare la coscienza: la classe politica attuale sta assassinando l’Italia con il qualunquismo, la non-cultura televisiva, la speculazione edilizia che causa il dissesto idrogeologico. Nella logica perversa del potere, alla stregua dell’Inghilterra immaginata da Shakespeare, l’Italia sta attraversando un’identica epoca di caos, oscura e nebbiosa quanto le foreste anglosassoni.
Si tratta quindi di un corposo dramma esistenziale con implicazioni politiche, sulla falsariga dell’Amleto, sorretto con bravura da tutto il cast, e in particolare spiccano i delicati personaggi femminili; Paila Pavese/Duchessa di York, Sabrina Knaflitz/Lady Anna, Marta Richeldi/Regina Elisabetta, danno vita a donne ferite dalla malvagità di Riccardo, nelle quali il desiderio di vendetta è ormai profondissimo. Soltanto la guerra civile porrà fine alla tirannia di Riccardo, una guerra voluta anche da loro, che, come fantasmi, appaiono al malvagio sovrano poco prima che cada ucciso.
Gassmann affronta la regia ha con un interessante taglio che coniuga il linguaggio teatrale con quello cinematografico, sia per il ritmo sostenuto impresso allo spettacolo, sia per l’utilizzo di alcune scene video, molto suggestive, relative alle fasi della guerra. Contemporaneamente, la riscrittura drammaturgica di Vitaliano Trevisan ottiene il duplice effetto di mantenere la concettualità della versione originale, resa però più godibile per il pubblico contemporaneo grazie a un linguaggio asciutto e immediato.
Suggestivi i costumi, ispirati in parte al mondo del gothic/fantasy, sulla falsariga di Tim Burton, di cui Gassmann è un ammiratore. Di grande fascino la scenografia digitale che riproduce nebbiose foreste inglesi e raffinate architetture gotiche, immerse in una medievale oscurità. La sala del trono, la famigerata torre-prigione, i vari passaggi e corridoi del palazzo reale, divengono pertanto simbolici antri dell’animo umano, avvolti nel buio della coscienza. In chiusura di spettacolo, mentre scorrono i nomi dei protagonisti proiettati sulla scenografia, il pubblico applaude calorosamente sulle note della suggestiva Brothers in arms dei Dire Straits, canzone evocativa dell’atmosfera che si respira sul palco, con le sue immagini di paesaggi nebbiosi, solitudini, e destini scritti nelle stelle.
Chi è infatti, Riccardo? Un infelice condannato a spargere il sangue altrui, per placare quella sua patologica sete di potere. Chi lo circonda non è molto migliore di lui, cortigiano o traditore che sia, personaggi ambigui che sono i veri strumenti dell’oppressione. Per cui, la morte cui vanno incontro, altro non è che atto di giustizia, reminiscenza del dantesco contrappasso. Shakespeare immagina un finale tragico ma positivo. È dubbioso se lo stesso si possa dire di questa Italietta dove l’arroganza del potere, il qualunquismo e la cortigianeria regnano ancora incontrastati. Niccolò Lucarelli